La Città del Secondo Rinascimento

Numero 16 - La tolleranza e l'ospitalità

Mirella Leonardi Giacobazzi
Fattorie Giacobazzi, Acetaia Ampergola, Villa Emma, Nonantola

MITO E STORIA DI VILLA EMMA

intervista di Anna Spadafora

Incontriamo oggi Mirella Leonardi Giacobazzi, appassionato produttore di Aceto Balsamico Tradizionale di Modena. Gli innumerevoli premi e riconoscimenti ne hanno fatto fin dagli anni settanta una personalità di riferimento nell’ambito modenese. Infatti, già allora in occasione della “Giornata di studio dell’ABTM” fu voluta dalla Camera di Commercio come relatore, insieme ai grandi nomi del mondo enologico, oxologico, economico e locale. La sua acetaia più bella, quella considerata “di famiglia”, risiede oggi in Villa Emma di Nonantola che fu, negli anni della seconda guerra mondiale, teatro del salvataggio di centosette ragazzi ebrei. Siamo oggi a parlare proprio di Aceto Balsamico Tradizionale, allo stesso tempo famoso e poco conosciuto perché per il suo alto costo solo pochi privilegiati possono gratificarsene. In particolare parliamo dell’aceto di Villa Emma, della famosa Villa Emma!

Sicuramente fra le acetaie della nostra famiglia questa riveste una importanza molto particolare. La visita all’acetaia di Villa Emma non costituisce solo il mostrare l’orgoglio di famiglia, ma forse, proprio per quel coinvolgimento nello storico salvataggio dei ragazzi ebrei, evidenzia un significato più profondo, un misto di partecipazione, di amicizia, in sintesi, un sentimento profondo di ospitalità.

Villa Sacerdoti, ricordata come Villa Emma (dal nome della signora Sacerdoti), costruita con imponenza e grande fasto sul finire del 1800 per essere la residenza delle cerimonie, è stata durante la seconda guerra mondiale teatro del salvataggio di centosette ragazzi ebrei, raccoltisi qui dopo un viaggio periglioso attraverso i confini di mezza Europa. Non fu però solo un caso di salvataggio, lo si può anzi considerare come un piccolo miracolo nonantolano, il simbolo dell’ospitalità di un’intera comunità. Anzi, il simbolo dell’ospitalità nel suo significato più vasto.

Quei ragazzi vivevano a Villa Emma e avevano giornalieri rapporti con la popolazione locale, pur in una realtà comune a tutta l’Italia del nord di quegli anni: c’erano fascisti ma anche importanti movimenti di resistenza, da una parte, e, dall’altra, i tedeschi tenevano il Seminario dell’Abbazia come quartier generale, mentre la popolazione era normalmente dedita all’attività agricola. In un paese così piccolo, dove tutti non potevano non sentire, non vedere, non parlare e dove ognuno faceva la sua parte, nel bene e nel male, i ragazzi riuscirono, fra tensioni e colpi di scena, pericoli e sacrifici, a rifugiarsi in Svizzera. Tutto questo avvenne in un periodo di anni durante i quali ogni giorno, ogni attimo, poteva essere l’ultimo sia per i ragazzi che per chi li aiutava. Gli alberi della Via dei Giusti, a Gerusalemme, portano i nomi di chi manifestatamente organizzò per salvare i ragazzi, come Don Arrigo Beccari e dottor Giuseppe Moreali, ma questi nomi sono comunque il simbolo del cuore di una popolazione, del cuore di quelle mamme che mettendo a rischio i propri figli e la propria famiglia nascosero i ragazzi nei giorni più pericolosi prima della partenza. Tutto questo è Villa Emma, e ridarle vita, quando avemmo l’opportunità di acquistarla, fu al tempo stesso orgoglio e missione. Abitata nel dopoguerra da innumerevoli famiglie, il tempo e l’incuria l’avevano pesantemente danneggiata ma esistevano ancora negli archivi le fotografie della villa nei suoi tempi d’oro. Mio marito Riciero ha lavorato lunghi anni per riparare i danni e riportare la villa esattamente nella sua forma originaria. Contemporaneamente, Villa Emma è stata teatro di un ulteriore episodio di ospitalità: le soffitte, troppo grandi per essere solo soffitte, erano sicuramente state progettate per contenere un’acetaia, pur non avendola mai avuta. Vi portammo quindi le botti che di generazione in generazione erano state tramandate in famiglia ma, (altro caso?) da questa unione ha preso gradatamente forma quella che il professor Benedetto Benedetti, a suo tempo Gran Maestro della Consorteria, ha dichiarato essere un museo vivente dell’Aceto Balsamico Tradizionale.

Allora, proprio la presenza oggi dell’aceto a Villa Emma ha un valore simbolico…

Certamente. In questa acetaia le botticelle non sono, ma vivono in un’atmosfera tranquilla e densa di ricordi. Fra queste botti curate esclusivamente da me e da mia figlia Brunella vivono il ricordo dei ragazzi ma anche quello dei nostri nonni, dei bisnonni e di coloro che venivano prima. Fra queste botti sono per me segnati tutti i momenti, belli e brutti, della vita della nostra famiglia. Questa è la nuova vita di Villa Emma.

L’acetaia di Villa Emma non è quindi una normale acetaia…

In Villa Emma niente è normale. Per il grande significato storico che ha, entrare in Villa Emma è come entrare in un ponte temporale denso di ricordi, di emozioni, di sensazioni ancora vive. A Villa Emma vengono oggi organizzate cerimonie e banchetti nuziali, meetings e convegni. Villa Emma è considerata inoltre il quartier generale delle attività di famiglia. L’acetaia però rappresenta, oltre che orgoglio e dignità di famiglia, anche il simbolo dell’ospitalità, naturalmente solo per gli amici e per quei clienti che dopo lunghi anni di rapporti commerciali sono diventati non solo amici ma anche appassionati di Aceto Balsamico Tradizionale.