Numero 8

Corpo e Scena
Quadrimestrale, Spedizione in abbonamento postale

EDITORE: Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

Questo giornale convoca intellettuali, scrittori, scienziati, psicanalisti, imprenditori sulle questioni nodali del nostro tempo e pubblica gli esiti dei dibattiti a cui sono intervenuti in Emilia Romagna e altrove, per dare un apporto alla civiltà e al suo testo.
FERNANDO ARRABAL
Drammaturgo, poeta, inventore, con Beckett e Ionesco, del Teatro dell'Assurdo

CERVANTES E LA MUCCA PAZZA*

Sono molto contento di essere qui con voi per parlare della modernità, di questo momento cervantesco che chiamo formidabile. Stiamo vivendo il rinascimento – “rinascere”, come sapete, vuol dire nascere di nuovo – e siamo coscienti di questo rinascimento, di questo rinascimento cervantesco, soprattutto nel mondo della filosofia, della scienza, del teatro, per questo chiamo questo momento formidabile. Formidabile ha molti significati, in italiano credo voglia dire “molto bello”, gli americani invece hanno la tendenza a sottolineare l’aspetto della quantità più che della qualità e chiamano formidabile una cosa molto grande, ma ciò che è interessante è la radice latina di formidabile, la parola “formido”, ossia “paura”. Noi stiamo vivendo un momento di paura, cioè un momento formidabile. Il ventesimo secolo è cominciato con l’annuncio di Nietzsche che diceva: “Dio è morto”. Ed era vero, Dio era morto e con la morte di Dio sono arrivati i titani. Tutti erano molto contenti con i titani, che si chiamavano Mussolini, Franco, Hitler, Bresnev, Stalin, e ci proteggevano. Bastava essere in un partito, in una truppa, e i titani si comportavano come Atlante e Prometeo nella mitologia greca. I titani ci promettevano la stessa cosa di Atlante e Prometeo: non bisognava più credere, bisognava creare e costruire un mondo migliore, un mondo generoso, un mondo di giustizia. Voi sapete qual è stato il risultato: un mondo d’ingiustizia e di campi di concentramento.

Ma mezzo millennio fa è nata una serie di persone geniali e straordinarie, che ci hanno mostrato qual era il pericolo di oggi e si sono espresse attraverso l’ambiguità. Li conoscete: Leonardo da Vinci, Shakespeare, Cervantes e Montaigne. Dio ha voluto darci delle piste, ma Dio, come sapete, vede tutto, comprende tutto, ascolta tutto e confonde tutto. Ci ha voluto donare delle piste, specialmente con Shakespeare e Cervantes, li ha fatti morire lo stesso giorno, ma non dimenticate di capire che Dio è “confuso”: sono morti lo stesso giorno dello stesso mese dello stesso anno, alla stessa ora, ma per Cervantes la cosa è capitata secondo il calendario vaticano, gregoriano, mentre per Shakespeare secondo quello anglicano e cioè con dieci giorni di differenza. È un appello all’ambiguità ed è passato molto tempo perché l’idea cervantesca di far abolire la ragione, di farla esplodere, potesse esprimersi oggi e potesse mostrarci questo rinascimento di cui parliamo.

La scienza d’oggi, in tutti gli ambiti, si esprime attraverso l’esplosione della ragione. Quel che in Leonardo e Cervantes era l’ambiguità, grazie alla scienza di oggi, alla filosofia di oggi, al teatro di oggi, lo chiamiamo principio d’indeterminazione. Non si chiama principio d’incertezza: l’incertezza è una determinazione che finirà, mentre l’indeterminazione è definitiva. Ed ecco che l’indeterminazione è entrata in ambiti in cui nessuno avrebbe potuto immaginare. Si poteva immaginarla nella meccanica quantistica, nella fisica, nella matematica, nelle teorie frattali e nella teoria che sta emergendo da una decina d’anni, la teoria dei motivi, ma non si poteva immaginarla in un ambito così ribelle all’indeterminazione che è la biologia molecolare. Eppure, la biologia molecolare oggi è abitata dall’ambiguità cervantesca. La grande malattia di oggi, che probabilmente sarà la più nociva negli anni che verranno e per la quale ho visto morire i miei migliori amici (tra cui il filosofo Cioran), è la malattia della mucca pazza. È una malattia molto interessante. Ogni malattia rispetta il principio di causalità: tutte le malattie nella storia dell’umanità hanno un agente esterno che le provoca, dagli stafilococchi ai bacilli, alla fine si è arrivati al virus. Ed ecco che oggi arriva la malattia cervantesca, quella della mucca pazza, una malattia che non ha causa. Il centro di biologia molecolare, che tra l’altro è il più importante del mondo e si trova a Parigi, ha deciso di adottare l’ipotesi del nome greco: siccome non c’è agente della malattia, siccome non ci sono virus o stafilococchi, e tuttavia ci sono vere lesioni nel cervello che provocano la morte, ha deciso d’introdurre il nome “prione”, cioè il “primitivo”. Ed ecco che ci troviamo nell’ambito meno accessibile all’esplosione della ragione, il meno cervantesco possibile, con una malattia che è un’ipotesi, una malattia che è come un buco nero nello spazio, o come la materia nella meccanica quantistica, che è e non è nello stesso tempo. Questo non l’ha detto Cervantes, ma è nel libro che tutti avete letto e che s’intitola Don Chisciotte. Confrontate l’indeterminazione, quella della mucca pazza e quella delle mucche pazze che troviamo nel titolo: come si chiama Don Chisciotte? Si chiama esattamente El Ingenioso hidalgo don Quixote de la Mancia. Tutte le parole sono in se stesse ossimori, impossibilità, o humor. Infatti, la prima parola che appare nel frontespizio del Don Chisciotte è ingenioso. La parola ingenioso ai tempi di Cervantes voleva dire malinconico e folle, cioè il contrario di quello che si può trovare in un romanzo di cavalleria. La seconda parola è hidalgo, che vuol dire “figlio di halgo”, cioè figlio di qualcosa, il gradino sociale più basso che possa esserci in spagnolo, certamente non un cavaliere o un uomo con dei titoli, ma un “figlio di nessuno”. Tuttavia, è un titolo che aveva certi vantaggi. E allora le persone più plebee hanno cercato di avere il titolo di hidalgo e si è inventato il titolo di hidalgo de bragheta quando si avevano sette figli, così si poteva essere hidalgo. È interessante che la parola hidalgo sia seguita dalla parola don, ma non si può essere don quando si è hidalgo, don vuol dire signore. Poi viene la parola Quixote. Cosa vuol dire quixote? È una parte dell’armatura del cavaliere che si trova in corrispondenza del culo. Cervantes era cosciente che il cielo e la merda stanno insieme, e ci ha parlato di sacro a proposito dell’ultima vertebra del corpo umano, che mostra che ciò che è più sacro si trova nel culo. L’ultima parola del titolo è de la Mancia. Tutti i romanzi cavallereschi non erano romanzi di hidalgo, ma di cavalieri capitati in luoghi magici. Scegliere la Mancia introduceva un’indeterminazione ulteriore, un passo dal mitico al mitologico, un passo verso la più pulciosa regione spagnola. Sarebbe come se Hollywood facesse una nuova avventura di Rambo e situasse l’azione in Basilicata. Scegliere la Mancia voleva dire fare un’allusione alle sue origini ebraiche, perché mancia vuol dire anche la macchia che i cristiani credevano avessero gli ebrei.

Credo che abbiamo parlato di tutto ciò che c’è di pittoresco e di moderno nel sentimento di Cervantes, di quest’uomo del sedicesimo secolo e di tutto ciò che corrisponde a noi oggi. Ma prima di concludere vorrei che si pensasse al concetto cervantesco che aveva per esempio un uomo come Beckett. Nell’ultimo periodo in cui ero in prigione in Spagna, rischiavo di essere condannato pesantemente dal regime franchista. Allora Beckett venne a Madrid per difendermi, ma le autorità lo espulsero. A quel punto egli scrisse una lettera molto interessante, non per quello che dice di me ma per quello che dice dello scrittore in generale, del poeta, del nuovo Cervantes: “Signor giudice, è molto ciò che deve soffrire Arrabal per scrivere, non aggiungete nulla alla sua pena”.

*Trascrizione, non rivista dall’Autore, dell’intervento a Bologna tenuto in occasione della pubblicazione del suo libro Uno schiavo chiamato Cervantes (Spirali).