Numero 9

La politica di vita
Quadrimestrale, Spedizione in abbonamento postale

EDITORE: Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

Questo giornale convoca intellettuali, scrittori, scienziati, psicanalisti, imprenditori sulle questioni nodali del nostro tempo e pubblica gli esiti dei dibattiti a cui sono intervenuti in Emilia Romagna e altrove, per dare un apporto alla civiltà e al suo testo.
VLADIMIR BUKOVSKIJ
Politologo, autore del libro Gli archivi segreti di Mosca (Spirali)

IL GULAG DEL POLITICAMENTE CORRETTO

Intervista di Sergio Dalla Val

Può dirci qualcosa della sua storia? Sappiamo che lei è stato per dodici anni in un gulag.

Sono stato arrestato quattro volte. Sono stato in un ospedale psichiatrico, poi ai lavori forzati e sono stato persino oggetto di scambio con il capo dei comunisti cileni Corvalan.

Ho letto che lei ritiene che il gulag non sia morto, ma che in qualche modo possiamo parlare di un gulag “nascosto” in Europa…

Sì, il gulag non è soltanto un campo di concentramento, è una mentalità, una psicologia di repressione politica, una suddivisione della società in nemici e non, che accompagna l’ideologia.

Quindi possiamo dire che il gulag oggi esiste ancora?

Certo, esiste nella mentalità della gente, anche se in molti paesi – come la Cina, Cuba o la Corea del Nord – esiste come esisteva un tempo nell’Unione Sovietica. In Russia i prigionieri politici furono rilasciati nel 1992 e fino al 2000 non c’erano più prigionieri politici. Ma sembra che si vada all’indietro, che il KGB controlli tutti gli aspetti della vita e sia tornato al potere. Al momento ci sono prigionieri politici, non sono tanti, ma stanno aumentando. La maggior parte della gente che protesta contro la guerra in Cecenia o contro l’inquinamento nucleare è stata accusata di aver rivelato segreti militari. Ma in realtà non sono segreti, sono cose risapute, l’autorità semplicemente non vuole che la gente ne parli. Questo è ciò che riguarda la Russia. Ma quando parliamo del gulag parliamo di un fenomeno psicologico e politico di controllo della parola e del pensiero, perché il gulag è uno strumento creato per controllare la società e riguarda non solo le persone che vi sono imprigionate, ma anche quelle che sono fuori, perché sono spaventate e non vogliono entrarvi. Quando Putin è andato al potere nel 2000, le persone in Russia hanno immediatamente capito che il KGB era tornato al potere, e subito si sono spaventate. Se prima c’era più o meno la possibilità di essere critici nei riguardi del governo, ora la maggior parte delle persone ha paura di dire qualsiasi cosa.

A proposito dell’Europa, sottolineo che c’è un inizio di gulag perché ci sono già gli strumenti per il controllo della parola, c’è già il gulag intellettuale. Se stai provando ad esprimere il tuo punto di vista sulle relazioni fra le razze, i generi, il sesso, e se questi punti di vista contraddicono quello che ora è l’establishment, sarai presto nei guai. Questa ideologia che genera il gulag è nota con il nome di politically correct, ideologia del politicamente corretto, che in pratica è uno strumento di controllo del pensiero…

Non è un fenomeno recente che l’opinione di chi è contro l’establishment venga emarginata…

No, è un fenomeno insolito, per due motivi. Lei sa che sono venuto in Occidente nel 1976, ho vissuto qui per venticinque anni e ho visto come le cose sono cambiate. Ricordo che all’epoca il dibattito era molto vivace, mentre oggi ci sono argomenti precisi di cui non si può parlare, se critichi la politica del governo che incoraggia l’immigrazione, sei accusato di essere fascista, se dici qualcosa contro il movimento dei gay, sei accusato immediatamente di essere omofobico. Ma essere contro la loro politica non vuol dire essere contro di loro. Eppure, non puoi criticare la loro politica senza essere accusato di essere omofobico! Questo è già controllo del pensiero, il primo passo verso il gulag.

Nota questo anche a Cambridge?

Sì, posso farle un esempio. L’estate scorsa abbiamo avuto il primo caso in Inghilterra: un uomo è stato arrestato per una battuta “politicamente scorretta”. Questo è accaduto nella tanto rinomata democratica Inghilterra. Che cosa aveva fatto? È un uomo molto noto che è spesso in televisione, stava parlando alla fiera nazionale e ha raccontato una barzelletta. È una situazione così strana che con questa storia del politicamente corretto molta gente abbia più privilegi di altri – diceva –, “a me basterebbe avere gli stessi diritti che ha un uomo di colore o una ragazza madre o una lesbica oppure un tossicodipendente”.

Come si chiama quest’uomo?

Robin Page. E così la polizia lo ha arrestato per la sua battuta “politicamente scorretta”. Naturalmente, non l’ha tenuto in prigione, però gli ha dato una nota. Ma questo è solo l’inizio, perché nel trattato di Nizza sono già stati specificati due nuovi reati: il razzismo e la xenofobia; con questo trattato hanno praticamente creato la polizia europea, che ha l’immunità diplomatica, quindi, molto più di quanto non avesse il KGB. Allora, immaginiamo le conseguenze di tutto ciò: possono dirti che tu in un qualsiasi bar hai raccontato una barzelletta, hai detto qualcosa contro il razzismo, per cui adesso possono arrestarti.

Qual è la sua opinione sull’Unione Europea?

È una vaga copia dell’Unione Sovietica, stanno tentando di creare qualcosa di simile e, proprio come l’Unione Sovietica, viene governata da venticinque commissari che non sono stati eletti, come il Politburo, si eleggono tra loro ma non sono stati eletti. È stata creata coercitivamente, infatti, le nazioni che non vogliono aderire sono obbligate, costrette. Per esempio, la Danimarca non ha voluto unirsi, allora hanno fatto un referendum nel quale la maggioranza ha detto no. Tuttavia, è stato detto alla gente che ne avrebbero fatto un secondo e un terzo, fintanto che non sarebbero riusciti a farla aderire.

Due anni fa in Irlanda hanno fatto un referendum sul trattato di Nizza, hanno votato contro, ma in un anno li hanno costretti a fare un altro referendum, e stavolta hanno votato sì. Quindi, non è per volontà propria che le nazioni aderiscono, ma sono costrette a farlo, molto spesso da pressioni economiche. Io vado spesso nell’Europa dell’Est e mi rendo conto delle enormi pressioni economiche ad aderire all’Unione Europea.