Numero 5 - LA CURA DELLA CITTA'
Quadrimestrale, Spedizione in abbonamento postale

EDITORE: Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

Questo giornale convoca intellettuali, scrittori, scienziati, psicanalisti, imprenditori sulle questioni nodali del nostro tempo e pubblica gli esiti dei dibattiti a cui sono intervenuti in Emilia Romagna e altrove, per dare un apporto alla civiltà e al suo testo.
LEONARDO CELESTRA
architetto, titolare della Edilcelestra, Bologna

PER UNA RIVOLUZIONE CULTURALE DELLA CITTA'

intervista di Anna Spadafor
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Nel dibattito che si è tenuto a Bologna intorno al libro di Gianni Verga Come avere cura della città (Spirali ed.), è emersa da più parti l’esigenza che in Italia prenda slancio finalmente una spinta propulsiva, dopo anni in cui sembrava che dovesse essere conservato tutto. Lei ritiene che occorra maggiore flessibilità nel restauro o nella conversione di aree industriali dismesse, per esempio?

La flessibilità intesa soprattutto in termini di adattabilità fisiologica all’incremento dei fattori di instabilità presenti nella vita contemporanea rappresenta oggi l’elemento centrale dell’ipotesi evolutiva del progetto edilizio, sia esso di carattere architettonico sia di carattere urbanistico.
È necessario, a mio avviso, che i progettisti riacquistino la propria contemporaneità di fronte a problematiche riguardanti il restauro di edifici o di aree della città: il mummificare a tutti i costi edifici per nulla rilevanti dal punto di vista storico-architettonico è un atto di sterilizzazione della capacità espressiva del nostro tempo.
Rispettare il nostro passato non deve tramutarsi in un atto di pigrizia mentale, ma significa possedere gli strumenti per operare una evoluzione culturale della città.
Penso a città che hanno avuto il coraggio di confrontarsi con il passato e che oggi raccolgono i frutti di tali sforzi: Parigi, Barcellona, Berlino, ma l’esempio più indicativo, per motivi dimensionali, è forse offerto da Bilbao.
Bilbao è una città di medie dimensioni, di carattere post-industriale dove lo squallore dominava per la maggior parte il paesaggio urbano. L’edificazione del museo Guggenheim (arch. Frank O. Gehry) ha dato inizio a una serie di interventi a livello urbanistico e architettonico, si pensi all’aeroporto (arch. Calatrava), che stanno modificando l’aspetto e l’economia della città.
Bilbao sta riscoprendo una rinascita e la sua architettura è oggi elemento di attrazione per molti turisti che la visitano per la sua contemporaneità, e non solo per il suo passato, come avviene nelle nostre città.
Le aree industriali dismesse possono oggi diventare una grande occasione di riscossa culturale. Viene offerta la possibilità di ricucire il tessuto urbano, prima lacerato dalla presenza della fabbrica. È auspicabile intendere queste aree, già in sede di progetto, non come elementi interclusi all’interno del loro confine, ma come elementi rigeneratori per lo sviluppo del sistema urbano circostante.

Qual è l’apporto che l’architettura può dare oggi per la trasformazione e la promozione di un’intera città o di un’area della città?

Fare architettura significa comunicare e, naturalmente, come avviene nella comunicazione umana, è necessario che vi sia una pluralità di soggetti, parlare da soli non serve, come non serve, ai fini della determinazione degli elementi caratterizzanti della città, la singola opera architettonica.
Il successo del centro storico sta nel fatto che esiste uno stesso linguaggio espressivo fra gli edifici, (pur essendo fra loro differenti), questo elemento unificante rende alla città storica una identità.
Penso che l’architettura debba fornire identità al luogo e non debba tendere alla omologazione e alla standardizzazione espressiva delle tipologie edilizie, come è avvenuto negli anni passati.
La progettazione della città, a mio avviso, deve essere vista attraverso una strategia di distribuzione dei pesi urbanistici su una area più vasta di quella tracciata dai confini urbani.
Si parla di Bologna metropolitana, penso che se volessimo studiare veramente un’area metropolitana, dovremmo fare come hanno fatto gli olandesi con i Ramstad, cioè le città-anello.
Un esempio: Bologna è a venti minuti di autostrada da Ferrara , la quale ha una bellissima area industriale distribuita lungo un fiume navigabile. Ravenna ha un porto sull’Adriatico che funziona molto bene e dista quaranta minuti da Bologna e venti da Ferrara, con ciò si verrebbe a costituire un triangolo che sarebbe veramente una città metropolitana.
Questa è una delle tante simbiosi che si potrebbero creare, invece ciascuna città fa il proprio piano, nessuno li coordina fra loro e abbiamo tante ripetizioni in aree che hanno, invece, valenze e vocazioni diverse.

Come si costruisce in Italia oggi? Con quale regia? Con quali tecnologie?

La maggior parte delle imprese edili opera all’interno di regie che la letteratura specialistica definisce di tipo tradizionale.
I principali protagonisti del processo edilizio sono l’utente, il committente, il progettista, il costruttore, l’istituto di credito e l’assicurazione.
Le varie aree all’interno delle quali operano gli operatori fondamentali del processo sono nettamente separate fra loro, nel senso che in ogni area agiscono operatori che, individualmente, svolgono il loro lavoro senza che esista una organizzazione incaricata del coordinamento tra i vari adempimenti, se non quella del committente (che il più delle volte è una figura non strutturata dal punto di vista organizzativo).
Si costituisce una multi-organizzazione-temporanea, che prevede che il processo operi attraverso l’azione di operatori indipendenti che il committente sceglie e aggrega fra loro in una sorta di squadra incaricata di portare a termine una particolare vicenda costruttiva e destinata a sciogliersi quando questa è giunta a conclusione.
Nella labilità della squadra, nel poco tempo a disposizione per imparare a lavorare assieme e nella non riproducibilità del gruppo di operatori, troviamo le principali incertezze e conflitti che caratterizzano tale processo. Tali conflitti nascono per lo più dall’assoluta casualità d’aggregazione dei diversi operatori.

Da quello che dice sembra che la trasformazione strategica, ovvero il brainworking dell’impresa, che sta attraversando i vari paesi, non trovi ancora un’eco attenta in Italia per quanto concerne l’edilizia…

Nei paesi economicamente più sviluppati, dove la committenza è di dimensioni maggiori, al fine di fare fronte alle problematiche del processo edilizio tradizionale, si sono sviluppati approcci organizzativi basati sul management.
Si parla di construction management, project management, management contracting, caratterizzati da una progettazione unitaria, opposta a quella sequenziale tipica degli approcci tradizionali, dal rapporto diretto tra committente, progettista e produttore di componenti e dall’adozione diffusa di contratti separati fra committente e fornitori. In sintesi il committente affida ad un manager (il più delle volte uno studio tecnico) la completa gestione del processo.
Scompare il contratto fra committente e impresa generale (la quale a sua volta sviluppava contratti con i subappaltatori), ma la stazione appaltante definisce direttamente i rapporti con i subfornitori scavalcando l’impresa generale, e il progetto viene affrontato in maniera unitaria all’interno dello stesso staff tecnico.
Naturalmente tutto ciò richiede uno sforzo organizzativo che solo pochi committenti sono in grado di attuare.

Come interviene l’innovazione anche tecnologica? In quali ambiti dell’edilizia si diffonde in modo più interessante?

Per quanto concerne lo sviluppo delle tecnologie edilizie, ad eccezione degli anni settanta, dove la prefabbricazione sembrava aver aperto le porte ad un modo di produrre molto simile ai comparti produttivi manifatturieri, basandosi sul concetto di standardizzazione e riproducibilità seriale dell’elemento tecnologico, oggi i maggiori sviluppi tecnologici sono per la maggior parte legati al miglioramento delle qualità intrinseche dei materiali tradizionali, migliori capacità termo-acustiche, durabilità nel tempo, maggior leggerezza e versatilità.
Il fatto di aver avuto un miglioramento delle tecniche e delle tecnologie tradizionali lo si deve imputare al grande sviluppo del restauro e della manutenzione che questo paese sta riscontrando.
Le tecniche di costruzione rimangono per lo più invariate, è sempre presente la struttura intelaiata in cemento armato o in acciaio, solai in latero-cemento, in pannelli prefabbricati, in lamiere grecate, ma le principali novità le riscontriamo nelle tecnologie per i rivestimenti, dove si incontrano sempre più edifici (non solo nel terziario) provvisti di pareti ventilate e coperture, anch’esse ventilate, in rame o acciaio zincato.
Molti architetti si stanno avvicinando all’architettura bioclimatica, la quale non è una nuova corrente architettonica ma un nuovo modo di intendere il progetto, affrontando con maggior responsabilità il tema della sostenibilità e dell’impatto ambientale.
Qualora la bioarchitettura iniziasse a prendere piede nel panorama edilizio italiano vedremmo nuove tecniche e tecnologie, come i muri ad acqua, sistemi di raffrescamento passivo, coperture fotovoltaiche, serre accumulatori di calore, ecc.