Numero 12

La bella differenza
Quadrimestrale, Spedizione in abbonamento postale

EDITORE: Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

Questo giornale convoca intellettuali, scrittori, scienziati, psicanalisti, imprenditori sulle questioni nodali del nostro tempo e pubblica gli esiti dei dibattiti a cui sono intervenuti in Emilia Romagna e altrove, per dare un apporto alla civiltà e al suo testo.
SERGIO DALLA VAL
Cifrante, brainworker, presidente dell'Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

DI UNA DIFFERENZA CHE NON SIGNIFICA

Da dove viene la differenza? Dove trovarla? Chi la detiene? Come farne una proprietà? È meglio includerla o escluderla? Nel discorso occidentale porre la morte come limite delle parola ha comportato che la differenza fosse il segno della sopravvivenza: “Tutti sono uguali dinanzi alla morte, nella vita ognuno si differenzi”. È questa la piccola differenza, differenza relativa, differenza tra l’uno e l’altro. È la diversità, per esempio dei modi di essere, di arrangiarsi, di campare.

La diversità è un modo per fare della differenza un attributo personale, per differenziarsi. Così la differenza viene messa a fondamento dell’identità: la mia differenza mi rappresenta come personalità, come individualità, sarebbe il segno della mia importanza. Ma allora la differenza diventa prerogativa soggettiva e deve essere significata e significare. Ognuno deve essere diverso dagli altri, ma così tutti sono uguali diversificandosi. E così ogni diverso tollera i diversi, e nel segno della morte tutti devono divertirsi. Il discorso occidentale, da Aristotele in poi, ha sempre dovuto rappresentare la differenza: prima tra uomini e animali, nel genere, poi differenza tra uomini e donne, tra i sessi. Fondare sulla divisione tra i due sessi la differenza vale a renderla fisiologica, naturale, già data: come evitare la segregazione? Postulato il gregge, c’è chi vuole differenziarsi, e si fa pecora, credendo che lo siano gli altri, pur di affermare la sua diversità.

Di una differenza invisibile, insituabile, innaturale, dunque intellettuale, offre testimonianza questo numero della rivista. Differenza che nessuno può fare propria, che non è diversità da qualcun altro. La bella differenza. Differenza dell’impresa, differenza nella parola che viene in seguito al pragma, al fare, per l’incidenza del tempo. Per l’intervento del brainworker. E le cose non sono più contemporanee, ma si scrivono giungendo alla cifra della parola. Sulla via del malinteso.

Sembra scriversi lungo questa via la bellissima testimonianza di Cristina Frua De Angeli, la cui poesia narra di una differenza sessuale senza rappresentazione. Imprescindibile per questa differenza la poesia, come rileva il dibattito intorno al libro di John Bloch, Dio e la poesia (Spirali). Qui Dio non è la causa della differenza, come vorrebbe la tolleranza razzista che vede la differenza rappresentata ora nelle donne, poi negli ebrei, poi nei musulmani e in se stessi. Dio opera alla scrittura del pragma e della differenza senza segno della divisione, senza più fatalità: “La fatalità espunge l’Altro, il fare, la differenza, quindi l’avventura” scrive Armando Verdiglione nella Congiura degli idioti. Dio esclude fatalità e fatalismo, opera alla scrittura del pragma, senza quella delega e quell’esecuzione che stanno alla base di ogni fondamentalismo politico, dunque mortale. E la poesia di Adam Zagajewski annota come la città non è naturale perché città del tempo, “di filosofi ambiziosi e mercanti”: per questo niente differenza e varietà se la città è spaziale, algebrica o geometrica, senza progetto e programma. La città temporale è la città della bella differenza, bella perché non più osservabile, contemplabile. Con un’immagine altra, come scrive Carlo Sini. Non c’è più città vetrina, città museo, città magica, ma bellezza della città d’arte e di cultura, che esige la città dell’economia e della finanza, in cui l’ospite è essenziale.