Numero 8

Corpo e Scena
Quadrimestrale, Spedizione in abbonamento postale

EDITORE: Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

Questo giornale convoca intellettuali, scrittori, scienziati, psicanalisti, imprenditori sulle questioni nodali del nostro tempo e pubblica gli esiti dei dibattiti a cui sono intervenuti in Emilia Romagna e altrove, per dare un apporto alla civiltà e al suo testo.
CARLO MARCHETTI
Cifrante, segretario dell'Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna, responsabile a Bologna della Cooperativa Sociale "Sanitas atque Salus"

QUALE TEATRO PER I GIOVANI DEL VENTUNESIMO SECOLO

Pirandello, nella prefazione a Sei personaggi in cerca d’autore, scrive: “A me non è mai bastato rappresentare una figura di uomo o di donna, per quanto speciale e caratteristica, per il solo gusto di rappresentarla; narrare una particolare vicenda, gaja o triste, per il solo gusto di narrarla; descrivere un paesaggio per il solo gusto di descriverlo. Vi sono autori che non ammettono figure, vicende, paesaggi che non s’imbevano d’un particolare senso della vita, e non acquistino, con esso, un valore universale. Appartengo a questi”. In quest’opera, forse più che in qualsiasi altra, Pirandello rileva allo spettatore, e al lettore, come il dramma, più di altri generi letterari, investa i grandi temi del rapporto tra arte e vita e tra rappresentazione e realtà e si situi, anzi, ben oltre la nozione di genere letterario. Il teatro, in particolare quello della grande tradizione mediterranea, si è infatti configurato, fin dagli esordi e nei secoli a seguire, non solamente come il luogo della rappresentazione, della vita stessa, innanzi tutto, e, attraverso la maschera (diventata persona in latino) anche di chi la porta, i personaggi, le figure che ciascuna rappresentazione evoca in chi assiste, ma anche come la vita stessa in gioco attraverso la rappresentazione, attraverso l’essere in scena. Senza quel giocarsi la scena, tra chi osserva, il pubblico, e chi è osservato, gli attori, la rappresentazione teatrale non potrebbe costituirsi. L’attore non sarebbe più personaggio, la sua maschera rimarrebbe nel grottesco, nella caverna platonica. Essere in teatro, di per sé, non basta per essere in scena, occorre che l’attore sia tale e che vi sia pubblico. L’Italia, in particolare, ha dato un contributo fondamentale al teatro del personaggio, e del protagonista, attraverso l’affermarsi del cosiddetto “Teatro dell’attore”, e a questo si è attenuta, assurgendo a una proposta e a uno stile di vita. È un messaggio molto importante, anche per l’aspetto clinico. In Freud i riferimenti alla scena sono frequenti e importanti, dalla nozione di “scena primaria” alla centralità dell’Edipo nella sua elaborazione. Ma è anche il teatro, grazie al rilievo conferito alle figure del personaggio e del protagonista, ad avere dato un grande risalto all’instaurarsi di un elemento tutt’altro che scontato nella storia degli umani, quello della differenza tra individui, che, quando risente di un assoluto, diviene la “bella differenza”. La pubblicazione di Caratteri, di Teofrasto, nel terzo secolo avanti Cristo, prima risposta alla fisiognomica di Aristotele, improntata al realismo e giunta fino a Lavater, a Lombroso e a gran parte della psichiatria dell’800 e del ‘900, è importante per l’effetto d’ironia che, viceversa, rilascia. Non può esservi teatro, dunque non può esservi vita, se il carattere è preso nel realismo, o viene assunto. È lo scacco nel quale è incorsa la psicologia differenziale, che, da Galton in poi, ha preteso sovente di trovare tipologie in dati quantitativi e algebrici. Scacco nel quale è incorsa anche parte dell’antropologia, che ha fatto del cosiddetto “mito del buon selvaggio” un modello per molti giovani, ancora oggi. Il modello genera mode, e tatuaggi, piercing, acconciature oggi assunti da molti giovani ne sono indice. Ma il modello non può sostituire la scena, né la moda sostituire il teatro, che risente di quel theoréo che riguarda anche la teoria. Senza la scena, il corpo va verso il corpo, frequente ipostasi anche della scienza medica, che ci ha abituati per secoli, e lo fatto essa stessa, a insistere in modo pressoché esclusivo sul corpo escludendo la scena. E il sintomo si scrive sul corpo. Il messaggio della cifrematica è che le cose vanno dal corpo in direzione della scena, in una dualità che tiene conto della pulsione originaria. Corpo e scena non preesistono l’uno all’altra, o viceversa, in una dimensione precostituita. La scena, come dice Armando Verdiglione, impedisce che l’immagine diventi personale o collettiva e che la fede si risolva in credenza. Lungo la scena la parola si articola, e la stessa terapia può articolarsi in modo differente. Per molti giovani, oggi, scrivere sul corpo è anche un modo, forse esorcistico, di far sì che non lo faccia il sintomo, o la malattia, quando talora avviene, allorquando la scena sembra preclusa o domestica, e la portata del teatro, come condizione affinché vi sia scena, non è avvertita, spesso per irrilevanza o confusione di valori. La scommessa, oggi, non è più quella di precostituire valori da dare ai giovani; ciò è avvenuto con la morale dell’ottocento e, tragicamente, con l’ ideologia nel novecento.

Si tratta, oggi, di portare i giovani a dare valore a quanto fanno, di creare dispositivi, di formazione, d’insegnamento, di riuscita, in direzione della qualità, affinché siano le cose che si fanno a giungere a scriversi e affinché l’entrata in scena avvenga lungo un piacere e non come obbligo sociale o morale. È una scommessa, comprendente anche un’accezione più articolata di salute e di qualità della vita, che può delineare un nuovo teatro del terzo millennio, in cui, parafrasando Pirandello, chi decide di vivere possa farlo, e, chi non ha ancora deciso, possa essere aiutato a farlo.