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La scienza, l'arte, la psicanalisi
Quadrimestrale, Spedizione in abbonamento postale

EDITORE: Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

Questo giornale convoca intellettuali, scrittori, scienziati, psicanalisti, imprenditori sulle questioni nodali del nostro tempo e pubblica gli esiti dei dibattiti a cui sono intervenuti in Emilia Romagna e altrove, per dare un apporto alla civiltà e al suo testo.
MARIELLA SANDRI
Psicanalista, cifrante, presidente dell'Associazione Il secondo rinascimento di Ferrara

IL METODO DELLA CURA? IL SINTOMO

Ho letto il libro di Giorgio Antonucci Le lezioni della mia vita, edito da Spirali, e l’ho trovato straordinario per il rigore della testimonianza e la portata del messaggio. Egli lotta per la dignità e la libertà di ciascuno, anche del cosiddetto malato. Amico e collaboratore di Thomas Szasz, ha sfatato il mito della malattia mentale e con umiltà si è posto in ascolto dei racconti e delle questioni enunciate di quelli che altri avrebbero qualificato come pazienti, per instaurare con loro dispositivi di comunicazione.
Oggi la cifrematica, la scienza della parola, elabora un’altra accezione di medicina che non ha nulla a che vedere con quella ufficiale e sacramentale, ma è attenta al modo con cui le cose entrano nella parola. La medicina sottolinea il modo della parola. Già lo stesso etimo lo evidenzia: med viene dal sanscrito e traduce “modo” e “misura”. Modo della clinica, perché s’instauri un dispositivo di cura. Medicina scientifica, dunque non convenzionale, non dogmatica o precettistica, ma modo della parola presa nella sua logica particolare. Modo e procedura che escludono la malattia mentale.
Nella medicina scientifica, questo scio della scienza, questo “taglio”, è divisione di ciascun elemento da se stesso, il cui effetto produce un sapere che non può esserci prima.
Il sapere è effetto, effetto che la scienza, la divisione rilascia, imprevedibile, illocalizzabile, e che nessun farmaco può rappresentare. Il farmaco, lo psicofarmaco non può essere messo al posto della parola. La logica della parola non è la logica dello psicofarmaco. Questo oggi viene tranquillamente prescritto e copiosamente somministrato dalla psichiatria e dalla psicoterapia, e sostituisce quel bavaglio che veniva usato perché i pazienti non gridassero, la camicia di forza e il letto di contenzione.
La logica dello psicofarmaco è mortifera, è quella della morte bianca. Morte per psicofarmaco, morte indolore, eutanasia della parola, della vita e della logica particolare a ciascuno.
Può accadere che a un certo punto del proprio itinerario ciascuno incontri difficoltà estreme e che le cose che fino ad allora avevano tenuta non stiano più insieme, ma girino in tondo, facciano cerchio, siano invischiate impedendo ogni decisione, nella credenza di dover scegliere tra il bene e il male, senza capire che cos’è bene e che cos’è male. Ma tutto ciò non è segno di malattia o di negatività. Che qualcosa non vada, che qualcosa non funzioni non ha da essere penalizzato, mortificato, anzi è qualcosa che esige di trovare un’altra elaborazione. È un’esigenza di vita che emerge: è l’instaurazione dell’oggetto della parola, condizione del narcisismo.
Il sintomo, sottolinea la cifrematica, è la via che conduce alla cura: cura intellettuale, che, anche se incontra delle rappresentazioni, costituisce già un metodo della cura. Occorre ascoltarlo, elaborarlo, intenderlo senza bisogno di soffocarlo con farmaci, senza bisogno di addormentare e di togliere la parola.
La medicina sacramentale localizza il disagio, lo mentalizza e ne fa segno di malattia, escludendo a priori la logica particolare a ciascuno. In assenza di parola , somministra farmaci – in Emilia spesso anche l’elettroshock – e in casi estremi pratica la lobotomia, e proprio quando il narcisismo sta instaurando una domanda di guarigione, apparentemente, in realtà di qualità di vita, ovvero di una parola libera, di libertà di fare, di sognare, di sperare.
Risulta essenziale instaurare ben altri dispositivi di cura – enuncia la cifrematica –, dispositivi intellettuali, di ascolto e di comunicazione. San Carlo Borromeo aveva definito la disposizione all’ascolto “umiltà”, ed è ciò che innanzitutto occorre per instaurare una comunicazione che non si fondi sul dialogo, ovvero sull’interrogazione che fonda la risposta, su quel dialogo socratico che mantiene i ruoli del servo e del padrone, del maestro e dell’allievo, del medico e del paziente. In questo gioco delle parti nulla accade, nulla si sposta; il logo s’impone per gestire la parola, per confiscare la speranza, lasciando gli umani nell’alternativa euforia/depressione.
Occorre oggi una speranza non nell’avvenire ma nell’attuale, speranza come questione aperta, come modo dell’ironia, da cui procedono i dispositivi di parola, cioè di conversazione, di narrazione, di lettura che danno un apporto e una direzione alla scienza, all’arte e all’impresa di ciascuno.