Numero 12

La bella differenza
Quadrimestrale, Spedizione in abbonamento postale

EDITORE: Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

Questo giornale convoca intellettuali, scrittori, scienziati, psicanalisti, imprenditori sulle questioni nodali del nostro tempo e pubblica gli esiti dei dibattiti a cui sono intervenuti in Emilia Romagna e altrove, per dare un apporto alla civiltà e al suo testo.
CARLO SINI
Docente di Filosofia teoretica all'Università Statale di Milano

UN'ALTRA SCRITTURA DELLE IMMAGINI

La più potente scrittura che l’uomo abbia mai inventato è la scrittura matematica, la scrittura della modellizzazione totale di ogni cosa. Nessuna scrittura potrebbe rendere un tavolo come la scrittura matematica. Apparentemente, sembrerebbe meglio un’immagine, meglio dipingerlo, però solo la matematica è in grado potentemente d’impadronirsi di questo movimento rappreso che è un tavolo. E questa verità potremmo illustrarla con la grande intuizione cartesiana dell’algebra e degli assi cartesiani: si tratta sempre di stabilire due coordinate cercando di cogliere dove si trova il punto che si muove. Questa semplice raffigurazione grafica, questo semplice calcolo, questo semplice uso della matematica che gli antichi ignoravano – perché ci viene dagli arabi, per molti aspetti, per altri, c’era qualche accenno in Archimede –, questa semplice capacità di calcolo di dove vanno le cose, nel senso del come si muovono, è quella che consente oggi di andare su Marte, di calcolare che la navicella scenderà nell’oceano più o meno lì, o anche di sbagliare, come sappiamo, tragicamente.

Questa scrittura ci consente di dominare il movimento delle cose, non la definizione delle cose. Tutta l’età moderna è nata con un inno di guerra di Bacone contro la filosofia antica: “Basta con le chiacchiere, basta con le definizioni metafisiche, non ce ne importa niente di sapere l’essenza dell’acqua, vogliamo impadronirci della forza dell’acqua”. Ecco che, allora, emerge il concetto matematico e naturalistico di forza. Nel 1572 all’Università di Venezia, allo Studio di Venezia, come si chiamava allora, ci fu uno scontro tra giovani aristotelici, studenti e maestri aristotelici, e studenti e maestri che venivano dal sud, da Cosenza, e che erano allievi di Bernardino Telesio. Dove gli aristotelici sostenevano la fisica delle forme – la forma del fuoco, la forma dell’acqua –, i cosentini sostenevano la fisica delle forze. Per la prima volta, venivano a contatto e per poco non se le sono date.  Da quel momento, tutta la battaglia della scienza moderna fu per le forze contro le forme, per la matematica contro la metafisica, per questa nuova scrittura – queste nuove immagini che trasformavano le cose, non semplicemente le comprendevano –, in altre parole, per una industria delle cose, la capacità industriosa di farle, non semplicemente di replicarle nella parola o nello scritto, di farle sino a quella scienza dei materiali che risale a sessant’anni fa o poco di più e che oggi s’insegna nelle facoltà d’ingegneria, quella scienza dei materiali che insegna ai nostri giovani ingegneri a fare decine di migliaia di materie che in natura non esistono e di cui sono fatte tutte le nostre cose o la gran parte delle nostre cose, senza le quali non avremmo la scrittura del mondo che ci circonda, pieno di innumerevoli cose, che la natura da sé non produce, che l’uomo del sacro non era neanche in grado d’immaginare, che l’uomo della razionalità alfabetica poteva sì preparare – e che talvolta intuì come in un sogno –, ma che senza lo strumento delle immagini matematiche non avrebbe mai realizzato.

Sì, è vero, questo è il nostro mondo, ma cosa sta facendo questo mondo? Se teniamo conto del cammino artistico che abbiamo fatto fin qui, questo mondo ha portato radicalmente alla comprensione pratica, quanto meno secondo la quale l’uomo è certo la sua immagine, l’uomo è certo il suo segno, la sua potenza linguistica, matematica, la sua scrittura, l’uomo è colui che scrive il mondo, che scrive le cose, è l’essere in cui e per cui del mondo ne va – perché sappiamo che potremmo mandarlo per aria in quattro secondi questo mondo, e già lo stiamo facendo abbastanza bene e già stiamo facendo morire centinaia di specie animali mentre costruiamo decine di migliaia di nuove materie –, ma l’uomo è tutte e due le cose. Sì, noi siamo il due, la replica nel sapere, la replica nella capacità di raffigurare, di raffigurare creando, di raffigurare costruendo, ma dietro la replica non c’è assolutamente nulla di replicabile, questa è l’inevitabile esperienza che noi facciamo di verità, o della verità di questa esperienza. Non abbiamo più bisogno d’immaginare un dio provvidenziale, men che meno gli dei, che sono diventati oggetto d’interesse per l’antropologo, per il sociologo, per l’etnologo: ce la facciamo da noi la provvidenza, trasformare le forme in forze, trasformare la forma della danza nella forza, nella capacità di catturare la forza che è in esercizio nella danza; questa trasfigurazione, questa trasformazione fa sì che dietro il nome noi non abbiamo più bisogno di porre il soggetto del nome, l’altra parte del symbolon. L’altra parte del symbolon è questa volontà di potenza stessa, direbbe Nietschze, è la nostra capacità di darci da noi il nostro corpo, di darci da noi le nostre cose, di fare da noi la nostra terra. Questo comincia con Galileo e culmina in un’esperienza politica, comunitaria, nell’Illuminismo, con la rivoluzione francese. Ma c’è un capitolo che meriterebbe buona attenzione, il capitolo del Quattrocento italiano, il capitolo di Leonardo, là dove effettivamente nascono le arti meccaniche. In Leonardo c’è questa differenza rispetto a Galileo: Leonardo vuole anche la figura. Grande lezione, lui costruisce con le sue macchine, con la matematica: senza la matematica non c’è sapienza, dice, ma nello stesso tempo vuole la produzione, per dir così, la riproduzione del modellino; una sapienza puramente astratta, puramente da ingegneri, è pericolosa, ci vuole una sapienza da pittore, ossia, da coloro che sanno riprodurre il macrocosmo nel microcosmo. Noi invece siamo nella specializzazione selvaggia, l’ingegnere è ingegnere, il pittore è pittore, il filosofo è filosofo.

Però, dall’altro verso, che cosa sta succedendo? È vero, noi abbiamo una nuova scrittura potentissima, la scrittura matematica, ma quello che ora davvero abbiamo è un nuovo supporto: non la carta, che tuttavia svolge una funzione che non sarà superata. Il libro morirà? Chi l’ha detto? Non è più l’unico supporto del sapere, anzi, non è il supporto del sapere. C’è un supporto diverso, un supporto che torna alle origini, per certi versi. Alle origini, il corpo del sacerdote, la sua danza, il suo cantare, il suo gridare, il suo articolare la voce, il suo camuffarsi, il suo imitare, tutto questo insieme era spettacolo vivente dell’uomo in quanto alter ego del dio, più che alter ego attore, hypocrites, colui che ripete il dio e lo fa accadere qui nella sua rivelazione. Da qui tutto il mito di questo corpo dell’attore di cui parla Attisani nel suo libro, quando dice che il vero teatro non è quello che ha le scene, il vero teatro è l’attore, è lui che è il corpo di tutto, il corpo dell’attore, il corpo sacro dell’origine dove tutto è sacro, il sangue è sacro, la vita è sacra. Poi tutto si disperde nei mille rivoli delle possibilità umane e oggi siamo come di fronte a un nuovo neolitico, l’età in cui effettivamente le sapienze umane trovarono per alcuni secoli, millenni, una conformità, un’unità, dappertutto c’era una sapienza comune che era la sapienza neolitica, quella dalla quale noi proveniamo direttamente. E oggi c’è la sapienza di un nuovo supporto, vogliamo chiamarlo telematico? Non abbiamo ancora la parola giusta ma una cosa è sicura: dal cinema e dalla fotografia abbiamo un supporto che ricompatta l’immagine, la figura, il movimento, la luce, le tenebre, la visione, la voce, il canto, la musica. Siamo di nuovo sulla soglia, questa grande potenza della forza indubbiamente è nelle nostre mani, però deve comprendere questa soglia di rievocazione dell’unità di senso, dell’unità simbolica dell’uomo. Come fare questo? Come accettare, con animo sereno, che ci siano quelle degenerazioni dell’immagine spettacolare che tutti conosciamo e pensare che c’è anche un cammino positivo, un cammino d’integrazione umana sulla terra che va in una direzione non del tutto insensata, non semplicemente nichilistica? Come avvalorare questo pensiero, come verificarlo? Prima di tutto diciamo che laddove è accaduta la grande crisi del mondo antico e del mondo moderno, cioè l’umanesimo e il Rinascimento italiano, è partita la spaccatura europea, di cui soffriamo ancora, tra luterani e cattolici. In quel momento prezioso della storia dell’uomo occidentale era possibile una scienza delle immagini che perseguisse la potenza di industriosità, che non separasse l’ingegnere dal filosofo, dal poeta e dall’artista. Era l’ideale di Leon Battista Alberti, che diceva, per esempio, che l’architetto è tutto perché è colui che fa la cultura della casa dell’uomo, dove si abita, dove si abita civilmente. Questo modello potrebbe essere, come dice Verdiglione, il secondo rinascimento: se c’è la possibilità di un secondo rinascimento, forse la cultura italiana ha da dire qualcosa. Ma poi diciamo una seconda cosa che è molto importante: noi ci chiediamo come avverrà questa integrazione, questa trasformazione del pianeta terra grazie alla cultura occidentale ma senza un imperialismo della cultura occidentale, una cultura che riconosce i suoi diritti e i suoi pericoli, le sue astrattezze, le sue ideologie e superstizioni. Non credo che dobbiamo dare una teoria di come questo accadrà, dare una risposta teorica, ma dobbiamo farne la rappresentazione, farne teatro, dovunque ci troviamo ad operare, dobbiamo a nostro modo ricostituire la scena, ricomporre il palcoscenico e il luogo della danza. Come? A ciascuno il modo suo, il modo in cui nel suo lavoro, nei suoi affetti, nei suoi rapporti, ha la possibilità d’incarnare questo movimento d’integrazione, non semplicemente di auspicarlo, di teorizzarlo, di vedere se è razionale o irrazionale. Tutto questo ha fatto il suo tempo, annoia i nostri giovani, mentre non annoia se noi gli chiediamo di trasformare tutto ciò che si dice in una pratica vivente, consapevole di sé, non la lezione ma la pratica della lezione. E come si fa la pratica della lezione? Vedendo insieme, comprendendo insieme. Chiediamoci perché è accaduto questo. Come è accaduto che voi siete là e io sono qua? Qui non si tratta di cambiare i ruoli, ma di essere consapevoli del ruolo che stiamo giocando, della pratica che ci sta investendo, di che cosa siamo attori, da che cosa siamo abitati. E questa trascrizione e quegli strumenti sono meravigliosi perché gli strumenti possono trascrivere tutto, possono veramente replicare il mondo in un senso costruttivo, positivo, serio.