Numero 5 - LA CURA DELLA CITTA'
Quadrimestrale, Spedizione in abbonamento postale

EDITORE: Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

Questo giornale convoca intellettuali, scrittori, scienziati, psicanalisti, imprenditori sulle questioni nodali del nostro tempo e pubblica gli esiti dei dibattiti a cui sono intervenuti in Emilia Romagna e altrove, per dare un apporto alla civiltà e al suo testo.
ARMANDO VERDIGLIONE
psicanalista, cifrante, imprenditore

LA PAGLIUZZA E LA TRAVE

“Perché osservi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello e non scorgi la trave, che è nell’occhio tuo? E come puoi dire al tuo fratello: «Fratello, permetti che io ti levi la pagliuzza che è nell’occhio», non vedendo la trave che hai nel tuo occhio? Ipocrita! Leva prima la trave dal tuo occhio; ed allora vedrai di togliere la pagliuzza, che è nell’occhio del tuo fratello”.

(Matteo, 7, 1-5)

“Psicopompi di tutto il mondo unitevi, per far fronte al disagio della civiltà!” è lo slogan promosso, in qualche strada di Parigi e di Milano, da ottobre a oggi. È curioso che il significante civiltà non abbia un corrispettivo in molte altre lingue. Si tratta della civitas, della città, della Kultur o della civilizzazione? Porre le cose in questi termini non significa forse collocare la civiltà come un discorso e, di conseguenza, il disagio come un prodotto della civiltà? Per ciascuno, e in ciascun caso, non c’è modo di trovarsi nella comodità, nel modo comune, nel luogo comune, nell’agio. Non c’è modo, per nessuno di noi, di essere a proprio agio in un sistema: equivarrebbe a conformarsi e, quindi, a dover combattere contro la civiltà, a porre la rivoluzione come utopia, sotto l’idea di popolo, quindi sotto l’idea di dispotismo, di tirannide, di vampirismo.
Quella che ho appena citato è una formula volgarizzante che indica come l’essenziale venga mancato da parte dei funzionari e dei professionisti di questo discorso, parascientifico più che scientifico, che vorrebbe riassumere i fondamenti della scia illuministica. Se, poi, andiamo a leggere questi clamori volgarizzanti, troviamo che sono gravidi di pettegolezzi, di personalismi, di rappresentazioni di sé e dell’Altro.
L’ideologia dell’androgino, dell’Uroboros, da un lato si avvale di un’azione finalizzata al bene dell’Altro, dall’altro si rappresenta il male — dell’Altro o di sé. Questa ideologia attribuisce il bene o il male a sé o all’Altro, in termini di cura, in termini di essere e di avere, sotto due principi: il principio del dente per dente, (principio di selezione, detto anche, nel discorso filosofico greco, principio del terzo escluso) e il principio dell’occhio per occhio (principio di elezione, detto anche principio d’identità).
L’ideologia dell’androgino fonda l’istituto della vendetta, da cui parte ogni dispositivo sociale conformista. Da questo istituto dipendono l’istituto della colpa e l’istituto della pena, e anche l’ideologia dell’invidia e della giustificazione di sé o dell’Altro.
Il maestro Sandro Trotti dipinge ritratti di donne, o della donna, con un solo occhio. È la donna polifema? Abbiamo dato un’altra lettura del testo di Sandro Trotti. Ma, chi è, in effetti, Polifemo? Chi è questo “monofemo” che si manifesta e si produce e si moltiplica come polifemo? Chi è il ciclope Polifemo? Ecco Odisseo, nella caverna, nella spelonca, nella grotta. Non è la caverna di Platone, non è neppure la grotta di Leonardo: è un luogo del tutto potere, del tutto visibile. Potere industriale, potere finanziario, potere politico, potere economico, potere sociale. È l’idea di Odisseo che, annullandosi, negandosi come Odisseo, entra nella spelonca, nel regno materno, e diventa Ciclope Polifemo.
Ecco la trave per un fuoco che non è fatuo, per un fuoco che deve essere rappresentato, diventa tizzone e, conficcato nell’occhio del mondo, che è monottico e panottico, deve vedere la Medusa. Quella dipinta sullo scudo di Atena, in fin dei conti, è l’idea del matricidio, l’idea dell’incesto. E così, Odisseo, che per questo verso diviene Edipo, acceca. È chiaro che tra Odisseo e Polifemo si tratta di un’anfibologia e, in fin dei conti, di una parabola.
Ma se Odisseo entra nella spelonca e resta Odisseo, allora la spelonca non è più il luogo del regno materno: diviene la grotta di Leonardo, diviene la caverna di Platone. Allora, Odisseo è Nessuno (così in greco), e come nessuno è invisibile. Odisseo è invisibile. Non c’è chi parli poco o chi parli molto (polifemo) o chi tenga un monologo (monofemo), non c’è chi dialoghi o chi tenga un solo discorso che possa vederlo o toccarlo. Nessuno tocca, nessuno vede Nessuno, Odisseo, Ulisse.
La città è il luogo del regno materno, dove tutto è visto e visibile e dove il potere si estende e tutto comprende? Oppure la città ha la sua condizione in Nessuno, cioè nella voce, punto vuoto e punto di oblio? Tale il centro, invisibile e intoccabile, condizione della città o della civiltà. È da combattere, questa civiltà, oppure è ancora da instaurare? Il disagio sarà mai un prodotto della civiltà? Lo psicopompo non ha nessuna chance. Costruisce cappelle alternative che assomigliano troppo a un certo ecumenismo della chiesa cattolica.
Pinocchio è la caricatura di Odisseo: in fin dei conti, rimane una trave cieca. Va a sbattere da tutte le parti, finisce perfino dentro la balena. S’imbatte nei carabinieri che gli tirano un libro addosso e lo imprigionano perché il libro è suo. Edipo non acceca. Edipo non uccide il padre. Edipo ignora l’incesto. Edipo non conosce Giocasta. È senza il tumor superbiae, senza il tumore della superbia (sant’Agostino, De Trinitate, 8, 8-12). Il suo piede, dunque, non è gonfio e il passo rimane impassabile. Piede e passo del tempo. Il tempo infinibile e eterno proprio del fare, proprio della struttura dell’Altro, quindi anche della città, ha questa sua condizione in Nessuno e nella voce. Così, Edipo diviene dispositivo. Così, non può essere rappresentato né si rappresenta. Così, il messaggero può annunciare che non c’è nessun cadavere a fondare la civiltà.
La minaccia di morte, o la minaccia di prigione, parte da questa attribuzione del bene e del male a sé o all’Altro: il bene dell’Altro o il male dell’Altro, il bene di sé o il male di sé. Il bene di sé (o dell’Altro) deve compiere l’economia del male di sé (o dell’Altro): è il fine di chi intende farsi altruista e compie l’economia del male o della malattia che significhi la morte, quindi della malattia mentale.
L’occhio è trompe-l’oeil. Mai l’occhio legale. Mai l’occhio del potere. Mai l’occhio del mondo. Nelle Nuvole, Aristofane distingue tra l’occhio e lo sguardo, una distinzione essenziale. L’occhio senza lo sguardo oscilla tra il fascino e il feticcio e scivola verso la mondovisione o la visione del mondo. L’occhio senza lo sguardo fa lo sguardo del serpente o di Circe o di Medusa o di chi sembra determinare un’altra cecità, molto sospetta, quella di Tiresia.
Qui, siamo a un altro stadio, quello in cui Odisseo — Nessuno, la voce — è la condizione di Edipo dispositivo. Ma Edipo dispositivo è anche Tiresia. Edipo è in grado di ascoltare, è la condizione stessa dell’ascolto. L’occhio che si mette al posto dell’ascolto istituisce il potere tutto.
Bene-male posti dinanzi vengono attribuiti allo specchio, allo sguardo e alla voce oppure all’Altro. Nel caso dello sguardo, questo si riassume e si rappresenta nell’occhio; da qui, ancora, buonocchio o malocchio, vedere bene o vedere male, malvisto o benvisto. Ecco ciò di cui non possiamo dire “Ecco!”: il fuoco fatuo. Ecco l’oggetto. Ecco lo specchio, lo sguardo e la voce come ostacolo. E la paglia indica qual è la casa con cui si costruisce la civiltà.
Paglia, pagliuzza, in greco, è karphos. Trave, tokòs, trabs, trabaculum, travaille, travaglio, u travajo. Solo senza accecare, senza questa idea di padronanza, anzi, di “madronanza”, Odisseo per un verso è Nessuno, per un altro verso è Edipo e per un altro verso ancora è Tiresia.
Per Brecht, verso cui non siamo di frequente indulgenti, “lo sguardo rende l’occhio estraneo”. Lo sguardo è punto di sottrazione e punto di fuga. In qualche modo, provoca Galilei a interrogarsi intorno alla lampada vacillante o oscillante del Duomo di Pisa. Il punto non è di vista, quindi nessuna moralità dello sguardo, nessuna maschera dello sguardo. E nessuno specchio di Dio, nessuno sguardo di Dio, nessuna voce di Dio. Dio è piuttosto l’idea: l’idea dello specchio, l’idea dello sguardo, l’idea della voce. L’idea che opera. Opera perché l’esperienza si scriva. È questa la trave! È questo il travaglio. In effetti, la pagliuzza e la trave non rientrano in qualcosa che attenga a sé o all’Altro, la pagliuzza e la trave non possono portare alla rappresentazione della divisione nella frase e nel pragma.
I brani del Vangelo, su cui tanto insiste sant’Agostino chiamandoli in causa, citandoli, che cosa dicono? Il fratello (frater). Una divisione, propria alla frase, è quella per cui il figlio è ammesso: il figlio è nella sua funzione di figlio, funzione di uno, funzione di significante, ed è quella per cui l’uno è ingannevole, quello a cui allude il trompe-l’oeil. Ma questo uno ingannevole, questo uno mentitore, menzognero, impedisce che il principio dell’invisibile possa fondare l’economia del visibile. In effetti, impedisce l’ideologia dell’invidia. E dà un’altra accezione di invidia, quella per cui la visio come struttura dell’immagine altra ha la sua condizione nello sguardo e non nell’occhio.

(Da una conferenza tenuta il 18 maggio 2002, a Villa San Carlo Borromeo, rivista da Cristina Frua De Angeli)