La Città del Secondo Rinascimento

Numero 15 - L'icona del valore

Michael Cimino
regista

COME SENTIRE UN FILM

intervista di Francesca Baroni e Simone Serra

Oltre che regista, lei è scrittore, pittore e architetto. Perché questi modi differenti di comunicare?

La mia è una formazione di pittore, quindi con un approccio bidimensionale. Di solito la pittura si guarda da una superficie piatta e  altre forme artistiche come il balletto o il teatro sono sempre viste da un punto di vista bidimensionale, su una scena, un proscenio. Sono passato quasi casualmente dalla pittura all’architettura e al cinema perché ho cominciato a percepire i limiti dovuti a un piano bidimensionale, mi sono proprio stancato di guardare le immagini. Volevo entrarci. Ogni grande fotografo vi dirà che è quasi impossibile riuscire a catturare, a percepire la bellezza di un edificio, di un bell’esempio di architettura, perché l’essenza stessa del problema di sentire l’architettura viene dalla partecipazione, dall’essere dentro l’edificio, dal muoversi, dal capire quali sono gli spazi pieni e gli spazi vuoti, la riduzione e l’ingrandimento della scala umana mentre ci si muove all’interno dell’edificio, i giochi di luce. Questo è sentire un edificio, un’opera architettonica, e va al di là, supera l’effetto bidimensionale.

Quando studiavo architettura uno degli artisti che ammiravo di più era l’architetto Frank Lloyd Wright. Non ho mai trovato un’immagine che descrivesse a pieno la bellezza delle sue case. Ma quando sono stato all’interno di alcune case che ha costruito, sono stato sorpreso davvero. Ci sono giochi di luce, giochi di spazi che devono essere vissuti.

Una delle frasi dette dal grande Orson Welles è “Distruggete le macchine!”. Quello che lui intendeva non era certo di distruggere la macchina da presa ma di andarci dietro, di vedere cosa c’è dietro. Gli studenti di cinema sono sempre un po’ ossessionati rispetto alle macchine da presa, gli obiettivi e le strumentazioni tecniche, e invece non è necessario, non importa, non conta niente. Come Welles diceva “Distruggete le macchine!”, io voglio distruggere il muro del bidimensionale, voglio prendere ciascuno di voi, i vostri occhi, la vostra vista e trascinarvi dentro al muro, in quello che c’è dietro, in questo percorso, in questo viaggio attraverso le emozioni, voglio che voi dimentichiate il muro e l’immagine. Non voglio che usciate dal cinema dicendo “Ho visto un bel film”, ma “L’ho sentito”.

Allora l’arte non è questione di visione, ma di vita stessa.

La gente mi chiede spesso se per me l’arte è importante nella vita e io rispondo che l’arte, come ogni forma espressiva, è importante ed essenziale per la vita. Nell’arte devi avere il cuore pieno di speranza e la mente coraggiosa. Questi sono elementi indispensabili per gli esseri umani. Lasciamo da parte le funzioni nazionali o le differenze religiose: questo non conta, ci vuole gente che speri.

La perfezione non è di questo mondo, ma anche se è irraggiungibile, è vostro dovere e vostra missione fare ogni sforzo possibile per raggiungerla o avvicinarvi a essa. Non importa quante volte ci arrivate vicino e non riuscite a raggiungerla a pieno, non importa quante volte avete fallito o vi è sembrato di riuscire, bisogna provare continuamente per avvicinarsi il più possibile alla perfezione. Gli studenti di cinema pensano che la soluzione sia l’ultima novità, l’ultimo aiuto tecnologico, la telecamera speciale. E gli insegnanti peggiori promuovono questa idea della tecnica. Ma non c’è tecnica, ci siete voi e ci sei tu, ci sono i vostri sentimenti, e se li alimentate e fate amicizia con essi, arrivate a conoscerli in maniera intima e poi potete scrivere. Solo in questo modo, se riuscirete a dare un significato a quello che fate, riuscirete anche a parlarne, a metterlo in cinema o su uno schermo, su una pagina. Penso che solo in questo modo si riesca a commuovere i sentimenti degli altri. Se scrivo una cosa che mi fa ridere, di solito, la stessa reazione avviene anche nel pubblico o nei lettori. Lo stesso se c’è una cosa che mi fa piangere. La stessa reazione la suscito in coloro che seguono le mie opere.

Qual è la differenza  tra il lettore e lo spettatore e se ci sono delle implicazioni, delle cose comuni e delle differenze, tra vedere i film e leggere un libro, un romanzo.

Non credo che ci sia una grande differenza. Così come si guarda un film o si legge un libro, si guarda un quadro o una scultura, si ascolta con piacere un brano musicale, penso che siano complementari. Non bisogna avere fretta di creare delle categorie. Non importa se è una commedia, una tragedia, o un dramma o un film. “Genere” non significa nulla. Devo dire che bisogna prendere tempo per imparare la recitazione, per lasciare la mente molto aperta, poi alla fine, leggendo e studiando, si trovano dei principi generali che hanno funzionato per grandi artisti. Quindi, mantenere sempre la mente aperta: lo dico sempre agli studenti di cinema, che non seguono mai i miei consigli.

Le esigenze dei produttori e dei distributori hanno mai limitato la sua attività creativa?

Fare film è veramente una via difficile da percorrere ed è così per molte altre espressioni artistiche come studiare il balletto o la musica e bisogna impegnarsi a fondo. È una via molto dura. Le difficoltà si propongono sul tuo cammino solo perché così tu possa superarle. Non sono lì per schiacciarti ma devi credere che siano lì perché tu le superi e devi trovare il coraggio per cercare di superarle e se continui a provarci ci riuscirai. Molto spesso nel tuo lavoro, quando ci sono problemi che sembrano insuperabili o irrisolvibili, mano a mano che si procede, poi alla fine ti accorgi che non esistono nemmeno più, sono scomparsi. Ho avuto la grande fortuna di lavorare con i più grandi sceneggiatori della storia del cinema, per esempio Robert Bolt, che ha fatto Lawrence d’Arabia, e Gore Vidal. Da Gore Vidal ho imparato una cosa molto semplice. Mi disse: “Michael, non impantanarti!”, intendendo: non fermarti, trova la direzione per proseguire e poi, quando hai finito, torna indietro e affronta la questione che ti ha bloccato.

Le arti, il cinema saranno in grado di salvarci dalla mediocrità?

Sono convinto che cercare di raggiungere la perfezione e sapere di non riuscirci, ma sforzarsi per raggiungerla prima possibile può cambiare molte cose. L’importante è non avere paura. Perché avere paura? Di cosa? Perché qualcuno ha detto che sei passato sul suo territorio? No, bisogna veramente lavorare per superare la paura. Non c’è motivo di aver paura del proprio cuore, c’è una parola araba che significa “il cuore del tuo cuore”, è importante trovarlo.

Nell’ultimo film che ho fatto, Verso il sole, c’è un ragazzo che viene dal ghetto. Ha una quindicina d’anni ed è in prigione per omicidio, sta morendo di cancro ed è per metà bianco e per metà nero. Di notte quando è chiuso nella sua cella, che è grande quanto la cuccetta in cui dorme e c’è il gabinetto senza il coperchio, è sdraiato sul suo letto e recita una preghiera. Il ragazzo con questo dolore fortissimo dice: “Che la bellezza possa essere con me, che la bellezza possa essere dietro di me, che la bellezza possa essere sopra di me, che la bellezza possa essere sotto di me, che la bellezza possa essere tutta attorno a me”.