La Città del Secondo Rinascimento

Numero 20 - La scienza, l'arte, la poesia

Luciano Passoni
ingegnere, amministratore di SIR, Modena

UNA BOTTEGA RINASCIMENTALE DI MECCATRONICA

Intervista di Anna Spadafora

La SIR (Soluzioni Industriali Robotizzate) ha sempre mantenuto costante, anzi, ha aumentato negli anni la ricerca, avvalendosi del contributo dell’Università di Modena e Reggio Emilia. Quando e come è nata questa collaborazione?

La collaborazione tra SIR e l’Università è nata tre anni fa, al tempo in cui fu proposta la mia candidatura per la Laurea ad Honorem in Ingegneria Meccanica. Abbiamo innanzitutto creato un gruppo di lavoro misto, una sorta di team comprendente personale della nostra azienda e ingegneri e ricercatori universitari, fortemente motivati ed entusiasti del proprio ruolo. Successivamente, abbiamo posto le basi per la creazione di due laboratori universitari: uno presso il dipartimento di Ingegneria Meccanica e l’altro, caso pressoché unico in Italia, all’interno della stessa SIR. Il laboratorio universitario aziendale è risultato di importanza fondamentale per lo sviluppo di progetti di ricerca applicata, poiché si trova a operare in un contesto profondamente dinamico, in cui i risultati di studi e sperimentazioni vengono immediatamente riportati sulle commesse in produzione.

Le collaborazioni si fondano sulle persone e sono le persone stesse a decretarne o meno il successo: da questo punto di vista la disponibilità a confrontarsi e a trovare un punto d’accordo comune è stata reciproca. Da un lato abbiamo incontrato nel Magnifico Rettore Giancarlo Pellacani una personalità aperta, moderna e lungimirante, dall’altro abbiamo riversato sul progetto l’entusiasmo tipico che contraddistingue tutte le attività di SIR. Una volta creato il gruppo di lavoro e i laboratori, ci siamo concentrati sui programmi di ricerca, stabilendo di comune accordo tempi e traguardi intermedi: ciò è risultato importante a livello organizzativo, ma soprattutto ha permesso all’Università di confrontarsi in un ambito di mercato concorrenziale. Credo che il momento più esaltante per tutti sia stato assistere alla trasposizione pratica dei risultati ottenuti a livello teorico, in ambiti di ricerca spesso particolarmente impegnativi e avanzati: questo ha dato nuova carica al team e lo ha spronato a raggiungere obiettivi ancora più interessanti.

I vantaggi della collaborazione sono notevoli da entrambe le parti: l’Università vede tradotti in pratica i propri studi e può confrontarsi nell’ambito di un vero mercato,  mentre l’azienda ha la possibilità di attingere al notevole bagaglio di conoscenza dell’ateneo e disporre di nuove risorse, giovani collaboratori che spesso, al termine dell’esperienza universitaria, entrano nell’organico SIR.

Questa disponibilità di risorse permette all’azienda di contenere i costi della ricerca e di disporre nel contempo di un bacino di personale svincolato dal ritmo incessante della produzione su commessa. L’elevato ritmo quotidiano non permetterebbe infatti ai collaboratori SIR, dediti alla realizzazione degli impianti, lo svolgimento di programmi di ricerca a medio e lungo termine: è il circolo vizioso in cui ricadono molte imprese, che divengono sterili perché concentrate soltanto sulla produzione e non sullo sviluppo del prodotto. Ecco perché il binomio università-impresa assume un’importanza sempre maggiore.

Quello che abbiamo raggiunto non è un risultato di poco conto: come ho già accennato, occorrono le persone giuste da entrambe le parti e occorre mantenere sempre vivo il rapporto, tramite incontri, discussioni, nuovi progetti. Purtroppo, apparteniamo a quei rari casi in cui, per merito di tutti gli attori coinvolti, questo scambio reciproco di conoscenze ed esperienze funziona. Le parole ricerca e collaborazione sono spezzo inflazionate e abusate: occorre dare loro una valenza pratica.

Questa collaborazione ha già portato a conclusione qualche progetto?

Certo, abbiamo quasi una decina di progetti in corso, alcuni ancora in fase di sviluppo, altri praticamente completati. Sono progetti strutturati a step intermedi, che sono tradotti in pratica in modo graduale, sui prodotti da consegnare al cliente: questa strategia è risultata vincente, perché permette di usufruire continuamente di piccoli nuovi risultati, evitando di disperdere energie in traguardi eccessivamente lontani, che produrrebbero demotivazione. Tra i vari progetti, vorrei citare quello legato alla programmazione virtuale dei robot, che avviene su una simulazione della macchina reale residente su computer, garantendo un risparmio nei tempi di programmazione di ben il 90%. È un risultato strategico e di notevole importanza per chi vende robot, che dovranno in futuro essere sempre più facili e veloci da utilizzare: un esempio di come si debba costantemente lavorare sullo sviluppo del prodotto. 

Le nostre imprese devono specializzarsi nell’ideazione e nella costruzione di prodotti tecnologici ad elevatissima qualità: questo deve essere il Made in Italy, questo deve garantire la riuscita del nostro sistema. Sino a quando continueremo a essere un paese di terzisti, concentrati sul pezzo e non sul prodotto, subiremo sempre la concorrenza di questo o di quel mercato emergente. Dobbiamo invece riconvertire le nostre aziende, ma per farlo occorrono risorse economiche e capacità manageriali. Anche il sistema politico e bancario dovrebbe fare la sua parte, selezionando, incentivando e sostenendo le aziende che propongono prodotti e idee a elevato contenuto tecnologico. Siamo in un’era post industriale, che dovrà essere segnata da una rinascita simile al fermento degli anni ‘50: allora si doveva ricostruire un intero paese, ora dobbiamo ricostruire le nostre industrie e il nostro bagaglio tecnologico.

Occupandovi di vari settori a cui date un impulso verso l’innovazione, contribuite alla migrazione di tecnologie…

Questo processo di transfer tecnologico è uno degli aspetti più interessanti e affascinanti delle aziende che, come SIR, spaziano in tutti i settori. Ci permette di trasferire metodi e tecnologie in ambiti e compartimenti apparentemente stagni e differenti: una soluzione nel settore del legno potrebbe essere utilizzata, ad esempio, anche nella plastica. In questo siamo fortunati, perché operando dall’alimentare alla fonderia, dall’elettromeccanica all’aerospaziale, abbiamo la possibilità di conoscere quotidianamente nuovi processi, di creare soluzioni originali, capaci di migrare da azienda ad azienda, da settore a settore: è un vantaggio per noi, ma anche per i nostri clienti, che apprendono l’applicazione di nuove metodologie. Ovviamente questo non può accadere a chi è concentrato su una sola tipologia di prodotto: è vero d’altro canto che la nostra classe manageriale non è supportata da un efficace sistema di divulgazione della conoscenza. Stanno già sorgendo alcuni servizi di distribuzione del sapere, ma occorre che siano calati e ramificati maggiormente nell’ambito aziendale ed economico. Si sente la necessità di qualcuno o qualcosa in grado di garantire un confronto continuo, in grado di raccogliere e divulgare idee, invenzioni e soluzioni, al fine di garantire uno sviluppo più coerente e accelerato.

Proprio come nel rinascimento, quando s’incontravano i pittori con i filosofi, con i banchieri…

Credo che sia stato un momento bellissimo e irripetibile: tutti quanti, artisti, scienziati, inventori, erano spinti da una propensione al progettare e al realizzare qualcosa di nuovo e di stupendo, come in una grande competizione in cui i termini di valutazione erano dettati dalla bellezza e dalla forza delle idee. Quel periodo non si è mai più ripetuto, ma potrebbe essere preso ad esempio ora, visto che probabilmente ci accingiamo ad assistere ad un nuovo “rinascimento”, per così dire, di tipo industriale. 

Se allora ci fosse stata Internet, la rete, non sarebbe servita per copiare ma per capire come essere più bravi degli altri. Anche se non si chiamava Internet, la rete c’era ed era quella che consentiva gli scambi.

Allora tutta la conoscenza era incentrata sulle scuole e le botteghe: era tramite queste  strutture che il sapere veniva diffuso e divulgato. SIR è assimilabile a una bottega di meccatronica: assumiamo i nostri collaboratori non per ciò che sanno fare, ma per il loro entusiasmo, per la loro voglia di ricercare qualcosa di nuovo, e in qualche anno li trasformiamo in progettisti o ancora meglio, come diciamo noi, in cacciatori di soluzioni. È un processo lento e difficile, ma in grado di generare soddisfazione per entrambe le parti e di creare tecnici dal valore unanimemente riconosciuto. Può certamente succedere che, proprio al termine di questa lunga formazione, dopo qualche anno, alcuni progettisti se ne vadano alla ricerca di nuove esperienze. Ma molti di essi ritornano in SIR e questo rappresenta per noi un motivo di grande orgoglio, la riprova che la nostra azienda, malgrado i ritmi incalzanti, incarna un ambiente stimolante e affascinante. Quel processo che permette di passare dall’idea al progetto, all’implementazione pratica genera entusiasmo e soddisfazione. Certamente ci sono difficoltà e problemi di difficile risoluzione, ma vale la pena affrontarli e combatterli. 

Impresa è per lei sinonimo di battaglia costante. Machiavelli chiamava battaglia la giornata.

È vero, ma d’altra parte fare impresa è la mia vita e ho scelto io questa strada.

Ho visto nascere la SIR e l’ho vista crescere anno dopo anno, idea dopo idea: ma il passato non m’interessa, ciò che mi riempie di entusiasmo è immaginare come sarà la SIR del futuro.