La Città del Secondo Rinascimento

Numero 17 - La salute intellettuale

Carlo Marchetti
cifrematico, segretario dell'Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna, responsabile della Cooperativa sociale "Sanitas atque Salus"

IL RITMO DELLA VITA

“Il cuore si configura per primo nell’insieme del nostro corpo, proprio come le fondamenta di una casa o la chiglia di una barca, e continua a palpitare ancora dopo la morte, per sparire da ultimo così, come per primo è apparso”.

Così scriveva il filosofo greco Filone di Larissa, ponendo in rilievo quanto il battito del cuore fosse indicativo della vita. Fino a pochi anni fa, l’unico parametro certo che ci fosse vita, anche in termini medicolegali, era rappresentato dal fatto che il cuore battesse, e la linea elettrocardiografica era la prova estrema dello stato di vita o di morte di una persona.

Questa frase di Filone tocca tematiche, relative alle nozioni di nascita, di morte e di organismo vivente, oggi ampiamente dibattute in campo medico e civile nei casi di richieste d’interruzione di gravidanza, nel trattamento di embrioni e, anche, nella cosiddetta eutanasia attiva, attualmente conseguibile con farmaci che agiscono sul cuore.

Ma, in modo particolare, tocca la questione dei trapianti di cuore, tra i primi a essere effettuati e sicuramente tra quelli per il cui avanzamento si è lavorato di più. Questi trapianti si sono rivelati, finora, uno strumento essenziale per il proseguimento, o la ripresa, della vita stessa, ma non sono esenti da una questione etica e bioetica che impegna la fantasia degli umani, in particolare di chi è donatore e dei suoi familiari: il cuore espiantato è vivente, o addirittura battente, al momento dell’espianto? La risposta degli scienziati è sì. Da anni si sa come continuare a fare vivere il cuore dopo la morte dell’individuo. Il trapianto di cuore sembra tuttavia rilevare il superamento della coincidenza tra vita dell’organo stesso e vita dell’organismo e, per estensione, dell’individuo. Questa, tra l’altro, è una delle frontiere che la psicanalisi sta affrontando: fino a che punto l’analisi del fantasma, riguardo ai trapianti di organi e all’utilizzo di cellule embrionali a scopo terapeutico, può dare un apporto alla clinica e alla sessualità. La considerazione del corpo nel suo funzionamento, con l’accettazione dei suoi vari aspetti, ha sempre posto problemi agli umani, che vanno ben al di là di quelli dell’“adattamento” o del “non adattamento”.

Molte testimonianze indicano che nel periodo successivo al trapianto ci si trova in situazioni, anche di percezione, assimilabili a quelle avvertite nel corso dell’adolescenza riguardo al proprio corpo.

L’individuo comunque non sa mai da sé come sta il suo cuore, anche se crede di essere il primo deputato e autorizzato a saperlo e a trasmetterlo, in modo particolare al medico. Il cuore sembra veramente impadroneggiabile, affermazione che va al di là del popolare aforisma che “al cuor non si comanda”.

Il battito cardiaco non è una misura del tempo, è il tempo stesso, il suo ritmo, la sua aritmia. Quasi la sua aritmetica. Le aritmie, oltre che per cause organiche, sorgono spesso anche come contrappasso all’impossibile naturalizzazione del ritmo della vita, al tentativo di gestirlo con un altro ritmo, ricorrente e circolare, ma il cuore c’indica che siamo, in ciascun caso, in un viaggio, di cui non conosciamo a priori né l’approdo, né il suo andamento, impadroneggiabile anch’esso. Il cuore è indubbiamente un organo limite. Freud parlò tra i primi di stato limite, tra il somatico e lo psichico, a proposito della pulsione. Da questa nozione di pulsione occorre trarre la constatazione dell’impadroneggiabilità dei vari aspetti della vita, come il desiderio, il fare, l’intellettualità, che non possono essere concettualizzati. Sappiamo quanto la concettualizzazione delle proprie condizioni di salute porti a stati d’ipocondria, che investono, come dice il nome stesso, il più delle volte il cuore. Per la medicina scientifica il cuore, come il cervello, è dispositivo narrativo, per cui niente è immobile, niente è circolare. Per questo, non c’è sessualità senza il cuore. Nel dispositivo narrativo il corpo non va senza la scena, vale a dire senza la variazione della vita, di cui il sintomo è la spia. Rendersi conto di questo significa non fermarsi a una nozione di sanità affrontata solamente in termini di parametri e di standard, di circolarità organizzativa e di assenza di parola e di ascolto, ma promuovere la sanità come istanza di proprietà della parola, che procede dall’apertura, in cui corpo e scena non si fondono nell’unità. E la salute non coincide con l’idea di salvezza o di restitutio in pristinum, ma è istanza di qualità e di vita.