La Città del Secondo Rinascimento

Numero 21 - La modernità

Cristina Dallacasa
titolare della Costruzioni Dallacasa S.p.A., membro del Consiglio direttivo del Collegio Edile API, Bologna

LA CITTÀ HA BISOGNO DI VIVERE

Intervista di Pasquale Petrocelli

Quando nasce la Costruzioni Edili Dallacasa S.p.A. e qual è il suo specifico oggi?

Nata come ditta individuale nel 1957, a opera di Enrico Dallacasa, mio padre – purtroppo mancato l’anno scorso in seguito a una malattia –, l’azienda oggi lavora a Bologna e nei comuni della prima cintura, realizzando interventi di nuova costruzione nell’immobiliare residenziale.

Lei quando ha incominciato la collaborazione nell’impresa di famiglia?

Nel ’92, dopo sei anni di esperienze diverse nell’ambito della consulenza aziendale, in varie province dell’Emilia Romagna, lungo la collaborazione con uno studio professionale, incominciata dopo la laurea in Economia e commercio e dopo avere frequentato un corso di formazione in consulenza aziendale. Nello studio professionale, ciascun consulente seguiva le aziende in un’area specifica: io mi occupavo di marketing strategico e, per le piccole aziende, di procedure organizzative. È stata una bellissima esperienza che mi ha fatto acquisire un ampio ventaglio di strumenti da utilizzare anche in seguito.

La formazione universitaria l’ha aiutata nella sua attività di consulenza aziendale?

Un conto è studiare e un altro, del tutto differente, è trovarsi nell’impresa. La formazione universitaria offre gli elementi di base, ma poi occorre crescere lavorando sul campo, nell’impresa. E di imprese ne ho seguite tante.

Poi, strada facendo, tra le varie aziende, ha incontrato anche quella del papà…

Esatto. Nel ’92, per una serie di ragioni personali e familiari – il papà incominciava a stare poco bene –, ma anche di opportunità, sono entrata in azienda. Tuttavia, devo dire che sono entrata dalla porta di servizio: non c’era, inizialmente, la volontà di proseguire nell’attività. Era un momento in cui mio padre aveva bisogno del mio contributo nell’amministrazione, allora, ho collaborato. Poi, man mano che la sua malattia avanzava, ho incominciato a collaborare anche nella contrattualistica, poi nelle vendite, poi nell’acquisizione dei terreni e nei cantieri e così via, finché, passo dopo passo, sono entrata a pieno titolo in azienda e, da un po’ di anni a questa parte, ne sono alla guida. Dal ’92 fino alla sua scomparsa, mio padre ha sempre proseguito a lavorare. Il cantiere per lui era un modo della vita e per me è stato il modo in cui, accanto a lui, sono cresciuta in azienda. È stato un passaggio generazionale perfetto. Un’esperienza rara. Ho avuto questa grande fortuna di poter crescere lentamente al suo fianco.

Quindi, l’impresa avviata dal papà, e da lui portata avanti, ha poi trovato un seguito nella sua, prima della sua scomparsa?

Nell’ultimo periodo, la nostra organizzazione aziendale poteva in qualche modo, apparentemente, fare a meno della figura di mio padre, anche se poi quando lui è mancato è mancato molto, soprattutto in termini affettivi, ma anche in termini di contributo.

Quali sono le prospettive future nell’ambito dell’edilizia a Bologna e qual è il contributo che può dare la vostra impresa?

Il Collegio Edile dell’API Bologna – in cui, fra l’altro, sono membro del Consiglio direttivo – ha commissionato all’Università di Bologna una ricerca per capire le tendenze del mercato e i requisiti che per gli utenti devono avere le loro abitazioni. Sono emersi risultati molto interessanti: circa il sessanta per cento degli intervistati percepisce il valore della casa come qualcosa che non concerne principalmente l’aspetto estetico del fabbricato; un cospicuo gruppo, quello più ampio, non bada affatto all’aspetto estetico perché ritiene prioritari la presenza di impianti a norma, la solidità della struttura dell’edificio, la qualità dei materiali – possibilmente ecocompatibili –, la dotazione del certificato di abitabilità e la serietà e l’affidabilità dell’impresa costruttrice, oltre alla garanzia sui servizi che essa offre nella fase post-vendita. Questo ci conforta, perché la strategia che la nostra impresa da sempre adotta è proprio quella di realizzare anzitutto un prodotto che non dia problemi nel tempo agli utenti. Per noi questo rientra nei criteri essenziali di qualità del prodotto.

Certo, oggi, per parlare di qualità di un edificio occorre estendere il concetto alla qualità urbanistica. Il disegno urbano deve soddisfare le esigenze del cittadino. Abbiamo verificato nella nostra esperienza, attraverso la costruzione di nuovi comparti residenziali nei comuni della prima cintura della città, come le persone oggi tendono a spostarsi verso questi comparti con l’obiettivo di trovare una serie di servizi che in centro non trovano più: i parcheggi, il verde, la viabilità, i centri di aggregazione, edifici costruiti con le nuove tecnologie. La richiesta dell’utenza è quindi in direzione di una migliore qualità di vita. Allora, a questo proposito, nei piani di riqualificazione urbana non occorre avere nessun timore per esempio a demolire e a eliminare fabbricati che non hanno più senso, sia da un punto di vista urbanistico – per il tipo di destinazione per cui erano stati progettati e costruiti – sia per l’assenza di valore estetico e architettonico. In poche parole, non bisogna rispettare fabbricati che, pur avendo esaurito la funzionalità che avevano un tempo, hanno semplicemente un’età anagrafica “rispettabile”. Non dev’esserci nessun timore a demolirli e la loro sostituzione, per un meccanismo di riqualificazione, non può che rendere viva la città. Perché la città vive e ha bisogno di vivere. In molte città europee non si ha timore di utilizzare lo strumento della riqualificazione attraverso anche la demolizione di ciò che urbanisticamente e dal punto di vista funzionale non ha più ragione di esistere. Occorre quindi avvalersene quale strumento di naturale evoluzione per una città viva che si evolve nel tempo.