La Città del Secondo Rinascimento

Numero 27 - Questioni di salute

Leonardo Giacobazzi
ambasciatore del Consorzio Tutela Aceto Balsamico Tradizionale di Modena

LA CERTIFICAZIONE: GARANZIA PER LA SALUTE

Come si combinano gusto e salute in un prodotto tipico così ricco di storia e di tradizione come l’aceto balsamico? E in che modo la certificazione di un prodotto tipico consente ai clienti di avere una garanzia di qualità?

Si potrebbe dire che c’è più gusto quando si mangia sano. Noi italiani abbiamo una cucina molto legata alle materie prime naturali, al cibo non conservato, ai gusti particolari dei piatti regionali. Quindi una cucina sana, fatta di prodotti che vengono dalla tradizione. Le protezioni europee (quali la D.O.P. e la I.G.P.) nascono per evidenziare la differenza fra i prodotti tipici e quelli di paesi che non hanno le stesse tradizioni. Per dar loro validità intervengono le cosiddette certificazioni. Esse garantiscono l’osservanza di un disciplinare che stabilisce le procedure per ottenere un prodotto tipico. I nostri prodotti tipici sono fatti in modo naturale e quindi sono salutari. Le certificazioni, garantendone le procedure di produzione, sono tanto più indispensabili quanto più esiste il pericolo che il prodotto venga imitato al di fuori dell’ambito del tipico.

Allora, che cosa prevede il disciplinare per la produzione di aceto balsamico?

Intanto dobbiamo distinguere due tipi di balsamico: l’aceto balsamico di Modena, da sempre utilizzato per le esigenze quotidiane e oggi conosciuto e apprezzato in tutto il mondo, e l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena; quest’ultimo, che fino a trent’anni fa non era neppure sul mercato e veniva gelosamente custodito nelle acetaie, ultimamente è però riconosciuto a livello mondiale come una vera eccellenza nello scenario dei prodotti tipici italiani. Dopo essere stato tanto valorizzato dai produttori e dalle Istituzioni, l’Aceto Balsamico Tradizionale restituisce quindi lustro alla città, al territorio e a tutte le altre produzioni tipiche, compreso lo stesso Aceto Balsamico di Modena.

Secondo il disciplinare, per il Tradizionale si possono utilizzare solo le uve tipiche di Modena, ottenute dai vigneti registrati alla Camera di Commercio (principalmente i tre Lambruschi e le varietà di Trebbiano modenese). Dopo la pigiatura dell’uva, il mosto deve essere cotto a fiamma diretta e cielo aperto a temperatura non superiore ai novantacinque gradi, fino a portarlo alla giusta concentrazione. Il mosto cotto, una volta raffreddato, inizia a fermentare; viene quindi immesso nelle botti madre (veri e propri laboratori chimici naturali), al cui interno avvengono le reazioni di fermentazione e acetificazione. Annualmente poi, per compensare le perdite da evaporazione, si procede con l’operazione dei “travasi”, riportando a livello ogni botte con l’aceto della botte precedente. In questo modo, ogni anno l’aceto fa un passaggio di botte, ma sempre verso un più alto livello qualitativo, mai al contrario. Per legge, gli anni di invecchiamento sono almeno dodici per l’Affinato e almeno venticinque per l’Extravecchio. Tuttavia, gli anni non sono sufficienti per garantire la buona qualità di un aceto: può accadere anche che – considerando le tante variabili su cui si basa questo processo –, pur dopo venticinque anni, l’aceto sia correttamente invecchiato ma non abbia ancora le qualità sufficienti per poter essere chiamato Aceto Balsamico Tradizionale.

E chi lo decide?

Possono farlo solo gli assaggiatori esperti iscritti all’albo della Camera di Commercio; solo una loro commissione, che giudica il campione dell’aceto sotto il controllo dell’ispettore del Cermet, può approvarlo per l’imbottigliamento. In caso contrario, il produttore deve ritirare il prodotto e tenerlo in ulteriore invecchiamento.

E chi garantisce al consumatore che il produttore abbia seguito veramente il disciplinare?

Il Cermet, l’ente di certificazione autorizzato dal Ministero Italiano e dall’Unione Europea, che esegue tutti i controlli di filiera: dalle giacenze all’origine delle uve, dalle procedure ai tempi d’invecchiamento e così via, fino all’imbottigliamento presso il Consorzio. A questo punto l’aceto può finalmente essere riconosciuto dal consumatore, in quanto contenuto nella tipica bottiglietta da 100 ml, a suo tempo disegnata da Giorgetto Giugiaro, che è l’unica autorizzata per l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena; i controlli della certificazione sono garantiti dall’apposito sigillo numerato.

E quali sono invece le procedure per il Balsamico di Modena?

Anche se prodotto in grandi quantitativi, le procedure seguono usi e modalità comunque molto antiche, sempre con grande cura e coinvolgimento emotivo da parte dei produttori.

Il mosto delle uve viene concentrato con impianti moderni; una parte viene acetificata, diventando aceto di vino. Questo serve per dare al mosto il giusto livello di acidità e permettere il corretto avanzare delle reazioni di fermentazione, acetificazione, maturazione ed invecchiamento. Può essere aggiunto anche mosto cotto, per dare maggiore ricchezza al sapore del prodotto, e caramello, che serve esclusivamente per dare una continuità di colorazione negli anni (anche il caramello è comunque un prodotto naturale). I tempi minimi di maturazione in botte di legno, richiesti dal disciplinare, sono di sessanta giorni. Un buon prodotto però è ottenuto con tempi molto più lunghi e secondo un blend fra le produzioni delle diverse annate, naturalmente seguendo le ricette specifiche di ogni produttore.

Le caratteristiche qualitative del prodotto possono essere individuate tramite analisi organolettica: oltre alle garanzie dei controlli delle certificazioni (riportate in etichetta) quindi, l’assaggio, per il consumatore, è la migliore arma per giudicare il buon rapporto qualità-prezzo.