La Città del Secondo Rinascimento

Numero 33 - La crisi e la riuscita

Erio Luigi Munari
presidente Lapam Confartigianato Imprese, Modena

QUALI PROPOSTE PER LA RIUSCITA DELLE IMPRESE ARTIGIANE

Lapam festeggia cinquant’anni di attività, ma le sue proposte per dare un contributo in direzione della qualità alle 10.000 imprese associate sono fra le più innovative nella nostra provincia. In che modo state affrontando il momento di difficoltà che sta attraversando tutto il mondo?

Il nostro grido di allarme parte da lontano, non da settembre o da ottobre, ma dal momento in cui abbiamo notato che la finanza stava sovrapponendosi alla produttività reale, quando gli stessi imprenditori incominciavano a investire in finanza e il movimento delle merci nell’economia globale, a partire dal 2000, aveva incominciato a essere penalizzato, soprattutto dall’entrata in vigore dell’euro, che è bastata a farci perdere circa il 30 per cento del potere di vendita.

E noi siamo stati i primi a lanciare un grido d’allarme, perché su di noi – che rappresentiamo prevalentemente aziende manifatturiere e di servizi, compresi quelli alla persona, aziende che hanno la responsabilità della vera occupazione sul territorio provinciale – sono stati scaricati tutti quei costi che le grandi imprese e le multinazionali hanno sempre demandato, costi a cui si sono aggiunti, più recentemente, quello dell’energia e quello della manodopera, che non ha soluzione poiché non possiamo competere con economie che producono merci utilizzando bambini. Se aggiungiamo che l’altissima tassazione che abbiamo in Italia grava non certo sulle multinazionali, per il loro status giuridico, ma sulle piccole e medie imprese, e in particolare sulle microimprese, il quadro è completo: veniamo da anni in cui abbiamo sacrificato tutti i nostri margini per essere competitivi, cioè, di fatto, per non morire.

Oggi il fenomeno sta accentuandosi, con un effetto negativo sul credito: è comprensibile che i banchieri siano preoccupati a erogare credito in un’economia fragile e volubile come quella attuale, tuttavia occorre anche che dicano qual è la linea di demarcazione che stabiliscono per decretare se su un’azienda si può scommettere per l’avvenire. Abbiamo subito Maastricht prima e Basilea 2 poi, dunque siamo stati classificati e da lì dovremo ripartire per qualunque forma di riparazione. Ma un conto è emanare una normativa calandola sul territorio, un altro è che le aziende debbano assorbirla adeguandovi la loro produttività. I tempi e i modi sono completamente diversi e occorre fare in modo che questo non contribuisca a ridurre ulteriormente i margini già risicati delle aziende. Qualcuno potrebbe obiettare che abbiamo avuto due anni per adeguarci ai nuvi parametri. Ma sono stati due anni in cui siamo stati penalizzati, soprattutto nel settore manifatturiero e soprattutto a causa di concorrenze sleali, e certamente non agevolati dalle normative.

Qualsiasi governo, indipendentemente dal colore politico, dovrebbe preoccuparsi prima di tutto di consentire quei margini che richiedono i costi di produzione e che vanno dallo stipendio per i collaboratori al pagamento dei fornitori. Soltanto a questo punto, dovrebbe preoccuparsi della disoccupazione, perché il margine che alimenta l’economia proviene solo da chi lavora e da chi produce: non ci sono altre strade, considerate anche le risorse limitatissime che ha il nostro paese. Invece, ci sembra di confrontarci con signori che non capiscono che devono essere creati tessuto e terreno non tanto per prosperare, quanto per esistere.

Chiediamo dunque a questi signori se vogliono fare sopravvivere questa economia e questo tessuto economico che ci hanno invidiato in tutto il mondo e in parte continuano a invidiarci: dicevano che i distretti erano obsoleti fino agli anni novanta, ma ora vediamo che sono riscoperti come una risorsa impagabile.

Allora, per fare riapparire il libero mercato, occorrerebbe innanzitutto ripulirlo dalle lobbies: non si può continuare a finanziare i soliti noti, sostenendoli in toto. Ormai anche quello delle piccole imprese che rappresentiamo è un mondo che legge, che ascolta, che si è informatizzato. Non siamo più gli artigiani che vanno a lavorare alle sette del mattino e smettono alle sette di sera, tenendo la testa bassa e non guardando ciò che sta intorno. Per di più, constatiamo che i grandi numeri spariscono, o sono spariti, dal nostro tessuto produttivo, di conseguenza, occorre scoprire nuove nicchie di mercato e riscoprire vecchi mestieri, soprattutto quelli che a lungo sono stati ritenuti ideologicamente superati, o addirittura un “non valore”, mestieri di cui ci si vergognava, quando l’immagine di riferimento era quella del grande industriale, senza la quale sembrava che non si dovesse neanche uscire di casa.

Qual è la vostra proposta per valorizzare le piccole imprese oggi?

Quella di una maggiore attenzione, perché rischiamo di perdere un patrimonio eccezionale che tutti ci hanno invidiato e molti hanno tentato di copiarci non riuscendoci. Noi stiamo chiedendo regole, anche se purtroppo le nostre richieste vengono disattese, e chiediamo fiducia, chiediamo credito. A questo proposito ricordiamo che abbiamo istituito Unifidi, che altre associazioni ci stanno invidiando, che ci sta aiutando a dare una risposta all’enorme richiesta di aumento di garanzia da parte degli istituti di credito in questo momento critico. Se si continua così, può anche darsi che gli imprenditori non debbano più chiedere credito, nel senso che nel frattempo avranno cambiato attività.

Purtroppo, nonostante esistano aiuti che sarebbero a costo zero per il governo, come per esempio la riassicurazione dei crediti, la politica continua a essere quella dell’erogazione di “una tantum” e del salvataggio di unità produttive la cui chiusura fa scalpore perché ottocento dipendenti perdono il lavoro. Questa stessa considerazione non è riservata al tessuto medio imprenditoriale e artigiano che, solo in provincia di Modena, ha perso negli ultimi tempi circa il triplo dei dipendenti, nonostante il mondo della media imprenditoria e dell’artigianato sia molto sensibile alla conservazione del lavoro dei collaboratori, a volte fino al prosciugamento dei conti personali del titolare.

L’industria manifatturiera delle province di Modena, Bologna e Reggio Emilia è la punta di diamante dell’esportazione italiana e per la sua affermazione sui mercati internazionali stiamo lavorando anche con la Camera di Commercio e sviluppando sinergie con la sua azienda speciale, la Promec, perché apra la strada a un target d’imprese più basso e trovi opportunità nel mercato europeo, spesso ritenuto saturo, ma che tuttavia è in grado di dare alle aziende esportatrici un valore aggiunto.

Come associazione, non possiamo ignorare il persistere della burocrazia, che rende difficilissima la nascita di nuove imprese.

Chiediamo inoltre agli amministratori locali di portare avanti la realizzazione delle infrastrutture, piccole o grandi che siano, anche per l'effetto volano sull'economia.

Esistiamo da cinquant'anni, ma al nostro interno si avverte una grande vitalità, una vitalità che ha bisogno urgente di risposte.