La Città del Secondo Rinascimento

Numero 13 - Le donne, l'impresa, la comunicazione

Anna Spadafora
cifrematico, direttore dell’Associazione Culturale Progetto Emilia Romagna

LA FAMIGLIA, L'IMPRESA, IL BUSINESS INTELLETTUALE

La parola sfugge agli umani, non può essere dominata, si staglia sul caos originario, sull’aria. Eppure, nel corso dei secoli, quante ideologie hanno tentato di dare fondamento alla parola e di stabilire che ci fosse qualcosa dietro o sotto! E chi, ciascun giorno, non cerca d’interpretare che cosa voglia dire o non dire la parola? Mentre, comunemente, la famiglia è intesa come il luogo in cui comprendersi, il sistema per difendersi dalla difficoltà della parola, nella cifrematica, la famiglia è traccia dell’interdizione linguistica. Nel dire c’è una traccia che impedisce al dire di significare, di tramutarsi in un detto, in un sistema significabile. La traccia della parola è la famiglia. Con la famiglia come traccia non c’è più sistema e anche l’impresa procede dalla famiglia per instaurare i dispositivi intellettuali della riuscita. Così le famiglie e le aziende non hanno più bisogno di “fare sistema”, cioè di coalizzarsi contro nemici interni o esterni, quando, procedendo dalla traccia, compiono il loro viaggio verso la qualità. Se il viaggio della vita fosse una corsa per il successo, la famiglia e l’impresa sarebbero alternative l’una all’altra, luogo in cui ognuno ha l’obbligo di amare, il primo, e quello di odiare, il secondo. Ma, l’amore e l’odio, in quanto originari, sono intransitivi e inattribuibili al soggetto e alle sue rappresentazioni di luoghi e di persone.

La cifrematica ha inventato il mito della famiglia, da cui procedono il mito del padre e il mito della madre. “Senza questi miti”, diceva Armando Verdiglione al Master del brainworker (26-27 febbraio 2005), “nessun imprenditore che possa trovare la tranquillità nel suo viaggio”. Nella famiglia non si tratta di costringersi a vivere insieme, così come nell’impresa non si tratta di farsi concorrenza, di correre insieme, di stabilire chi arriva primo e chi arriva secondo. Se così fosse, la famiglia e l’impresa servirebbero a sancire i rapporti di forza: chi sta sopra e chi sta sotto, e padre e figlio, anziché funzioni della parola, sarebbero esattamente come padrone e schiavo. Non a caso, le ideologie del XIX secolo hanno concepito l’azienda come il luogo in cui i rapporti sociali dovevano o potevano, se non controllati, giungere a un punto di rottura. Proprio come nelle migliori famiglie: chi pretende di dominare e chi si sente dominato devono stringere un patto per il bene comune, un patto di omertà. Così, mirando, tutti uniti, alla causa finale, vivere insieme comporta la negazione della parola. Ma se l’insieme è il sembiante, la causa intellettuale, condizione del dispositivo, la vita non può prescindere dall’insieme. E chi dice che preferisce “fare tutto da sé”, chi non instaura dispositivi di battaglia e di riuscita con ciascuno che incontra lungo il viaggio della vita – magari per paura che, prima o poi, le cose finiscano –, chi ha riserve, remore e rimandi, più che vivere, sopravvive, nel regno della paura. E anche il suo business sarà improntato alla paura della fine, la fine dei soldi o la fine del tempo. Ecco perché ciascun imprenditore potrà trovare la tranquillità nel suo viaggio soltanto con il mito del padre, che si doppia sul teorema “Non c’è più messa a morte del padre, messa a morte del nome, non c’è più nome del nome”, e con il mito della madre, che si doppia sul teorema “Non c’è più la fine dei soldi, non c’è più la fine del tempo”. Qual è il principio su cui si regge la concorrenza, infatti, se non il principio del nome del nome? L’insieme sarebbe la pluralità in cui la corsa servirebbe a sancire chi è il primo a cui tutti gli altri devono assoggettarsi, il primo che mette a morte i concorrenti, i quali, a loro volta, vivrebbero soltanto per mettere a morte quel primo.

Ma il corso non è la corsa. Il corso, come scrive Armando Verdiglione nel libro La rivoluzione cifrematica (Spirali), è la tendenza, la tensione, “i sentieri e il filo, i bordi e la corda. Il corso della memoria verso la cifra: cammino e percorso. Cammino artistico e percorso culturale”. Se il viaggio della vita non è una corsa, non si tratta di stabilire per chi o per che cosa correre. E non si tratta di occuparsi del giusto business, né di attenersi al giusto compito d’origine – “farsi gli affari propri” –, né di occupare il giusto posto assegnato dai rapporti sociali, nella famiglia, nell’impresa o nell’educazione. Ciascun business è intellettuale se è business della parola, se l’affare è libero, se il fare poggia sull’infinito attuale, anziché sull’idea della fine dei soldi e del tempo. Il business della parola ha come condizione la provocazione intellettuale, che procede dalla questione aperta. Nessuna appartenenza, quindi, e nessuna dipendenza. Con il Master del brainworker, un’altra era si annuncia, inaugurata il 5 febbraio 1973, quando, nell’ambito di un’equipe diretta da Armando Verdiglione, venivano gettate le basi per un’impresa senza salariati e senza assistiti, un’impresa in cui la famiglia non è mai quella del ricordo che appesantisce il corso della vita, ma è sempre da inventare, e la memoria, anziché del passato, è memoria dell’avvenire. La famiglia e l’impresa in cui importano il percorso culturale e il cammino artistico sono la famiglia e l’impresa in cui l’aria non manca mai e la vita è ricca di soddisfazioni impagabili.

Come testimoniano le imprenditrici intervistate in questo numero, non a caso, le donne, che nel discorso occidentale, da Platone e Aristotele in poi, sono state spesso considerate senza cervello, perché, come i poeti, inclini alle divagazioni e alla provocazione intellettuale e poco propense a inseguire l’unità, oggi hanno la chance di contribuire all’invenzione di un altro cervello nella famiglia, nell’impresa, nell’educazione, nel viaggio della vita, il cervello come dispositivo intellettuale che non serve a risparmiare il tempo, perché poggia sull’infinito attuale. Le cose si fanno secondo l’occorrenza, non secondo l’algebra o la geometria del tempo. Facendo, non importa chi sia il primo. L’occorrenza dissolve ogni concorrenza. Solo così l’Altro è accolto, anziché essere rappresentato come amico o come nemico. E solo così la vita non può prescindere dall’insieme.