La Città del Secondo Rinascimento

Numero 31 - La libertà, l'arte, l'impresa

Angelo Minghetti
presidente di Senio S.r.l.

UNA FABBRICA D'ALTRI TEMPI

Nata quarant’anni fa nel cuore dell’alta ceramica faentina e oggi conosciuta in tutto il mondo per le sue collezioni, che offrono una gamma di colori impensabile nella produzione industriale, la Senio sta facendo uno sforzo enorme per mantenere la manualità e l’artigianalità tipiche della tradizione. Una fabbrica d’altri tempi, con oltre cento dipendenti, molti dei quali provenienti dall’Istituto d’Arte di Faenza, che cuoce ancora nei forni tradizionali con nove ore di fuoco, contro i quaranta minuti delle aziende ceramiche che hanno preso la strada della tecnologia...

Diciamo che il mondo industriale ha voluto e dovuto premiare la competitività sul prezzo, cosa che noi abbiamo rifiutato perché eravamo portati per la ceramica con la C maiuscola. Naturalmente, è andata bene fino a tre anni fa. Poi, con il trend minimalista, la maggior parte delle industrie ha prodotto non più piastrelle, ma lastre su grandi formati, prodotti che non hanno quasi più nulla a che fare con la ceramica tradizionale. E lì sono iniziati a sorgere problemi di competitività, perché i nostri costi sono certamente più elevati, se pensiamo che impieghiamo un centinaio di dipendenti per produrre gli stessi metri quadrati che una ceramica industriale produce con un terzo dei dipendenti.

Comunque, da più parti riceviamo la raccomandazione di mantenere quella manualità ceramica che fa sì che possiamo veramente dire che stiamo facendo made in Italy, perché oggi tutti i paesi del mondo fanno piastrelle, ma nessuno lo fa in modo artigianale. Noi abbiamo linee in produzione da venticinque anni, che sono tuttora interessanti. Magari hanno subito un restyling nel colore – perché in alcuni momenti sono di moda i colori più forti e in altri quelli più tenui –, ma comunque le linee resistono. È chiaro che anche noi, in un momento come quello attuale, in cui il mercato subisce un grande tracollo, mentre ci sono aziende che stanno collassando, abbiamo la febbre a trentasette e mezzo, soprattutto perché chi produceva materiale standard cerca di elevare la qualità perché intravede nel segmento medio-alto qualche possibilità in più. Ma noi più che mai siamo orientati e decisi a portare avanti il nostro progetto ceramico e a cercare nella qualità il nostro avvenire. E abbiamo riscontri ciascun giorno: oggi abbiamo risposto, per esempio, a un imprenditore cinese preoccupato perché nel suo immenso paese stanno aumentando i ricchi in grado d’intendere la qualità made in Italy e di pagare anche prezzi molto alti, mentre noi non volevamo rischiare di vendergli i nostri prodotti per vederceli copiati dopo un po’ di tempo. Gli abbiamo risposto che, con le dovute garanzie, possiamo fare un accordo e soddisfare il loro interesse.

Quindi la vostra, pur essendo una piccola azienda, è internazionale...

Abbiamo una sede a New York, diretta da mio figlio Marco, che in questo momento ci permette di restare sul mercato americano. Se non ci fosse questa sede, dovremmo fare i conti con una situazione di grande crisi, in cui gli importatori non intendono comprare i prodotti da tenere in magazzino. Il fatto di vendere loro un prodotto che abbiamo disponibile sul mercato è una carta vincente in questo momento.

Oltre a Marco, lavora con lei suo figlio Franco. La Senio era un’azienda di famiglia?

No, mio padre era un costruttore edile e io lavoravo con lui. A ventitre anni, quando terminai i lavori di costruzione dello stabilimento della Senio, che tra l’altro è rimasto lo stesso, la proprietà mi riferì che l’azienda stava andando in fallimento e non era in grado di pagarmi. Fu allora che, per non perdere i miei soldi, incominciai a dirigere io la Senio. Ho dovuto imparare strada facendo, però non sarei mai riuscito a far diventare la Senio quello che è oggi, se non si fosse trovata vicino a Faenza.

Io ho fatto del mio lavoro la mia passione, ho avuto fortuna, mi sono impegnato molto, però non ho mai badato al puro profitto economico. È ovvio che non si lavora per perdere soldi, cosa che tutti gli sciocchi sanno fare, però non risparmiamo sulla qualità. E non è un caso che le nostre ceramiche si distinguono a colpo d’occhio: abbiamo cinque persone dedicate alla ricerca, cosa che tante aziende ormai hanno delegato a studi esterni, con la complicazione che i professionisti, pur facendo prodotti molto belli, li fanno per tutte le aziende con cui collaborano. Questo è il motivo per cui c’è un appiattimento generale. La ricerca va fatta cercando l’originalità, anche se a volte si può sbagliare, perché non è facile trovare novità importanti e perché è capitato di produrre serie che purtroppo non hanno avuto successo o lo hanno avuto solo dopo cinque anni, forse perché anticipavano troppo le esigenze del mercato.

E tanto per distinguervi, come se foste una bottega del rinascimento, addirittura realizzate prodotti su progetto?

Sì, tanti. Attualmente, stiamo smaltando delle piastrelle per il rivestimento di prestigiosi fabbricati di trent’anni fa a Milano. Poter intervenire per dare un contributo a un restauro è importante e presto ne faremo uno anche a Roma.

Sulle ultime tre navi della Costa Crociere ci sono le nostre piastrelle: migliaia di metri quadrati nei bagni e nei corridoi, dove rivestono le fasce all’altezza delle sedie.

Anche la cupola della grande Moschea di Beirut è stata rivestita con le nostre ceramiche azzurre come il cielo.