La Città del Secondo Rinascimento

Numero 31 - La libertà, l'arte, l'impresa

Alfonso Panzani
presidente di Confindustria Ceramica

UN'ASSOCIAZIONE DI LEADER MONDIALI

La trasformazione è prima di tutto culturale, poi economica e quindi politica. E non è un caso se un imprenditore ha un approccio differente ai problemi proprio quando si confronta con un’Associazione che promuove la cultura d’impresa. Allora, qual è il ruolo di Assopiastrelle prima e Confindustria Ceramica poi nelle trasformazioni che si sono verificate in questi anni nel distretto di Sassuolo?

La nostra è sempre stata un’Associazione di categoria fortemente radicata in un territorio distrettuale, che rappresenta un punto di riferimento mondiale non solo per il settore della ceramica, ma anche per quelli degli impianti, dei colorifici e delle materie prime, dei corredi e della logistica, tutti settori della filiera ceramica che, a loro volta, sono leader mondiali. Si tratta di un unicum eccezionale che vede nella nostra Associazione una realtà in grado di esprimere e rappresentare la parte preponderante degli interessi economici non solo di questo comprensorio, ma dell’intera industria italiana. Il merito di aver fatto nascere un’Associazione forte va dato ai nostri imprenditori, che fin dagli inizi hanno dimostrato un grande spirito associativo e una spiccata volontà di fare anche cose insieme. Siamo proprietari e organizzatori del Cersaie di Bologna, la più importante fiera del settore al mondo, e di Coverings, la seconda in ordine d’importanza, che si tiene negli USA ed è organizzata in compartecipazione con i produttori spagnoli e americani. Sono manifestazioni che tutto il mondo c’invidia. Per partecipare al Cersaie da anni c’è una lunga lista di attesa di aziende a cui non possiamo dare soddisfazione per mancanza di spazio, nonostante la superficie espositiva si sia progressivamente ampliata: quest’anno, per esempio, disponevamo di uno spazio di 176.000 metri quadrati lordi, di cui 120.000 coperti, completamente occupati dagli espositori.

Per quanto riguarda il ruolo dell’Associazione nella tutela del made in Italy, accanto all’istituzione nel lontano 1974 del marchio Ceramic Tiles of Italy – anticipando molti altri settori industriali italiani –, abbiamo di recente approvato un codice etico e il relativo regolamento attuativo – che sopperisce per altro ad alcune gravi carenze della legislazione europea –, che prevede un impegno, individuale e volontario delle aziende associate, a dichiarare l’origine della merce. Questo sforzo importante esprime una forte volontà di valorizzare la produzione, la qualità e il design italiano, che è un valore particolarmente apprezzato in tutto il mondo.

Un altro fronte su cui avete lavorato è quello dell’ambiente e della responsabilità sociale d’impresa...

Dopo gli interventi degli anni settanta, volti a installare i depuratori, negli anni successivi abbiamo installato impianti e tecnologie che puntavano a prevenire l’inquinamento in senso lato; questi hanno lasciato il posto – negli anni ottanta e novanta – a sistemi manifatturieri in cui si è progressivamente innalzata l’efficienza energetica degli impianti: in quindici anni siamo riusciti a raddoppiare la produzione mantenendo però inalterata la quantità di valori emessi in atmosfera, tant’è che ancora oggi la nostra industria è quella riconosciuta come best avalable technologies nel mondo. A questo abbiamo aggiunto poi significative performance nell’ambito della responsabilità sociale, nonché in quello della cultura della sicurezza e del rispetto dei lavoratori. L’Associazione ha svolto negli anni un ruolo culturale molto interessante, che forse riusciamo a capire in pieno solo oggi che il mercato ricerca e apprezza questi valori. Quelli che all’inizio erano visti come oneri per l’azienda, oggi sono punti fermi nel nostro modo di fare impresa.

Sul versante della promozione, l’Associazione ha partecipato anche a fiere rivolte agli architetti a Londra, Dubai e Hannover, solo per citarne alcune. Grande è stata l’attenzione all’Europa Orientale fin dal 1995, quando in Russia, Polonia e Ungheria abbiamo sviluppato un’interessante campagna pubblicitaria televisiva. Oggi stiamo facendo la stessa operazione in India, sperando che sia la Russia del futuro.

Uno dei suggerimenti di Alberto Piantoni al convegno I distretti del made in Italy nell’era della globalizzazione (tenutosi il 19 settembre, proprio nella vostra sede) era quello di veicolare una comunicazione coordinata, che possa valorizzare nel modo migliore il made in Italy ed elevare la percezione dello stile italiano nelle fasce alte di pubblico. Qual è il suo parere?

Credo che, oltre alla promozione delle piastrelle, occorra comunicare l’Italian lifestyle dell’abitare, da affiancare al già ben conosciuto Italian fashion. In alcuni paesi, come la Cina, ci sono negozi dove si vendono non solo le piastrelle italiane, ma anche l’abbigliamento o il caffè e dove si percepisce – grazie a questa miscellanea di prodotti – il gusto italiano nelle sue varie espressioni. Questo è il vero valore aggiunto, qualcosa che nel mondo è molto apprezzato, più di quello che noi possiamo pensare.

Credo invece che noi dobbiamo difendere il made in Italy, per esempio, imponendo che in ambito comunitario vengano emanate norme per regolamentare la denominazione di origine della merce, come accade in tutti gli altri paesi del mondo, perché crediamo che sia non solo utile, ma anche indispensabile per il consumatore sapere che cosa sta comprando e dove vengono realizzati i prodotti. Questo anche per conoscere se vengono prodotti da aziende attente alla responsabilità sociale oppure no. Su questo argomento dobbiamo lavorare, assieme agli altri settori italiani interessati – come il calzaturiero, il tessile di Biella, l’arredamento e gli orafi – per far sì che anche in Europa si introduca l’obbligatorietà del marchio di origine, perché questo è un modo corretto di difendere collettivamente il made in Italy.

Lottiamo per l’affermazione dei nostri prodotti e speriamo di avere, al di là della crisi che permea oggi tutto il mondo, un secondo rinascimento, come recita il titolo della vostra rivista.

Le crisi sono anche momenti di trasformazione...

Sono quei momenti in cui noi sassolesi e i nostri imprenditori hanno sempre dato il meglio, avendo avuto il coraggio di rischiare e d’innovare maggiormente. Proprio per questo sono fiducioso: dato che la crisi è grande, è globale, spero che ci sia una risposta altrettanto forte.

E che il distretto abbia un avvenire ancora migliore rispetto a quello che ha avuto finora...

Noi pensiamo che abbia un avvenire, perché la quota del commercio internazionale del settore ceramico italiano nel mondo è ancora del 40 per cento in valore, evidenza che gli vale un posto sul podio delle eccellenze italiane in questo ambito. Poiché Sassuolo è anche il centro di eccellenza delle macchine per ceramica e una piattaforma logistica, aperta a diversi operatori e utile per esportare in vari paesi del mondo, credo che superata questa crisi continueremo a essere leader mondiali.

Per fare ciò, in questo momento di difficoltà, stiamo mantenendo le quote in volume ma aumentando il valore nei mercati in contrazione, mentre puntiamo a crescere laddove la congiuntura ce lo consente. In termini di quantità sarà sempre più difficile aumentare, perché i volumi stanno crescendo soprattutto nei paesi in via di sviluppo quale risposta alla crescita del consumo interno. Come industria italiana della ceramica abbiamo avviato con successo un’internazionalizzazione di tipo produttivo in aree caratterizzate da forte domanda di prodotto ceramico, da intendersi non come delocalizzazione – del tipo “chiudo in Italia per aprire all’estero” –, ma come internazionalizzazione. In passato siamo andati negli Stati Uniti, che non è certo un paese del terzo mondo, per diventare prioritari fornitori del mercato interno: oggi il 50 per cento della produzione americana è controllata da aziende italiane. Questo fenomeno lo si registra in Portogallo, in Francia e nei paesi scandinavi, mentre volumi significativi ci sono in Russia e Ucraina. Si tratta sempre di presenze non dovute alla ricerca di manodopera a basso costo, bensì alla volontà di cogliere le opportunità che quei mercati possono rappresentare. Sicuramente, questo è un punto che va a favore del nostro distretto e dei nostri imprenditori e, anche se indirettamente, della nostra Associazione.